Questo è teatro. Teatro tradizionale con unità di luogo, di tempo e di azione. Teatro civile che afferma il valore del diritto, della dignità, del dubbio, della ragione. Teatro di denuncia contro le prepotenze del potere che ricorre alle più subdole alchimie, ai ricatti tanto sottili da presentarsi come beneficienza nei confronti dei più deboli.
In questo caso sono 10 donne rappresentanti il consiglio di fabbrica attendono il ritorno di Bianca la loro delegata convocata dalla direzione della nuova proprietà (una multinazionale che ha rilevato il pacchetto azionario della vecchia gloriosa società). C’è una voce, messa artatamente in giro dai nuovi padroni, che la fabbrica potrebbe chiudere i battenti per la crisi del settore.Passano tre ore e ancora Bianca non si vede. Si agita sulla scena un piccolo microcosmo di varia umanità che è soggetta a pulsioni contrastanti, a pregiudizi, ad intime tragedie, a caratteri prevaricanti. Confusione che la claustrofobia moltiplica. Finalmente Bianca appare, è scura in volto, non parla, poi alla domanda delle amiche ansiose al limite della crisi di nervi, si scioglie e dice che tutti i posti sono salvi. Segue il grido liberatorio delle donne plaudenti. Ma l’entusiasmo dura poco e si stempera fino a diventare incredulo mugugno quando Bianca afferma che si dovrà mettere ai voti la proposta della direzione che mette come precondizione al proseguimento dell’attività lavorativa la riduzione di 7 minuti della pausa pranzo (da 15 a 8 minuti). Quando la delegata annuncia il suo NO l’angoscia delle colleghe prende il sopravvento e la loro reazione verbalmente molto violenta è portata al limite da metterne in dubbio la buona fede. Bianca cosa sono 7 minuti? chiedono, ma la risposta le raggela quando Bianca cerca di far loro capire che i “7 minuti” è un piccolo boccone avvelenato cui ne seguiranno altri e altri ancora e che 7 minuti moltiplicato per 200 dipendenti sono pari a 600 ore gratuite lavorate in più ogni mese. Se dai la mano a un “pescecane” quello ti divora il braccio e così addio alla dignità e ai diritti conquistati in tanti anni di lotta. Terminiamo con le parole di Stefano Massini “Il dibattito fra queste undici donne, diversissime, è in fondo il sismografo di un inizio secolo iper-contradditorio in cui la bussola del lavoro sbanda impazzita”.
Ancora una volta il più gettonato drammaturgo italiano colpisce nel segno. Non so se l’idea (presa dalla realtà) sia venuta a Stefano Massini o all’ottimo regista Alessandro Gassmann che ha già vissuto in termini drammaturgici una simile esperienza quando diresse e interpretò “La parola ai giurati”.
Lo spettacolo è vibrante, teso, avvincente ed emozionante. Gli attori, sempre in scena, interpretano con grande professionalità i 10 personaggi tanto da farne 10 protagonisti oltre alla grande, grandissima Ottavia Piccolo nella parte di Bianca. Esse sono: Paola Di Meglio, Silvia Piovan, Olga Rossi, Balkissa Maiga, Stefania Ugomari Di Blas, Cecilia Di Giuli, Eleonora Bolla, Vittoria Corallo, Arianna Ancarani, Giulia Zeetti.
La scenografia di Gianluca Amodio ambienta la pièce nello spogliatoio della fabbrica con rimandi virtuali all’esterno con le videografie di Marco Schiavoni. I costumi sono Lauretta Salvagnin, le musiche originali di Pivio&Aldo de Scalzi, light designer Marco Palmieri.
Produzione Fondazione Emilia Romagna Teatro, Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro Stabile del Veneto