Non solo guerra, non solo combattimenti, non solo belligerante strategia politica. L’“Attila” di Giuseppe Verdi, andato in scena al Teatro Comunale di Bologna, è un’opera anche di sentimenti, di solitudini che s’incontrano, di approfondimento psicologico dei personaggi. Questo dramma lirico, pensato dal compositore parmense, debuttò nel 1846 al Teatro La Fenice di Venezia e si compone di un prologo e tre atti. È la nona opera di Giuseppe Verdi, su libretto di Temistocle Solera con successivo intervento di Francesco Maria Piave. Il dramma prende ispirazione da “Attila, re degli Unni” di Zacharias Werner. La regia di Claudio Abbado e la direzione d’orchestra di Michele Mariotti hanno messo in piena luce tutte le tonalità, musicali, narrative e drammaturgiche facendo rifrangere luci e ombre, atrocità e debolezze dell’essere umano insite nell’opera stessa.
Uno degli aspetti più interessanti consiste nella forte caratterizzazione dei personaggi: Attila, il Re degli Unni, conquistatore della città di Aquileja, è un guerriero, un uomo che brama il potere e la vittoria, ma viene anche dipinto come un uomo leale, un uomo che non pugnalerebbe mai di spalle, un uomo che intende conquistare il suo predominio sul campo di battaglia e non attraverso contrattazioni. Poi c’è Odabella, un personaggio che echeggia le gesta di Giovanna D’Arco e quelle di Giuditta. Dopo aver perso il padre nel campo di battaglia e convinta di aver perso anche il suo amore Foresto, ella conquista Attila con la sua forza e determinazione, e questo le renderà più semplice compiere la sua vendetta; infine c’è Ezio, il generale romano che propone al Re degli Unni il suo aiuto per le future conquiste, pur di avere in cambio l’Italia.
La direzione d’orchestra di Michele Mariotti, carica di pathos e partecipazione, riesce a incantare lo spettatore fin dalle prime note. L’ouverture è un eccellente esempio di nuance musicale, con quel canto lento e greve che contempla le rovine della città, la desolazione che poi, in un crescendo, si espande luminoso come un raggio di sole in grado di perforare la nebbia che lo ostacola. L’erompere della violenza, però, entrerà presto in scena con la potenza del fortissimo di tutta l’orchestra. Mariottti riesce a ricreare l’atmosfera verdiana in ogni sfumatura di suono e con la sua orchestrazione è il vero protagonista della serata. Anche il coro, composto di numerosi elementi del Coro del Teatro Comunale di Bologna, diretto da Andrea Faidutti, che spesso erompe in scena accentuando le atmosfere, siano esse di presagio, di lotta, di paura, creando una frequenza di suoni di grande impatto per il pubblico.
L’allestimento, pensato da Daniele Abbado con lo scenografo Gianni Carluccio, è molto semplice e minimalista ma, nell’insieme riesce a trasmettere il senso di cupezza e l’atmosfera truce propria della situazione in cui ci troviamo. Tutta la scena è inserita in una grande scatola di ferro, uno spazio astratto, grigio e fatiscente, che rende ancora più evidente l’azione. Giocata su piani inclinati, travi, pavimenti obliqui, corde che calano dall’alto, la scenografia trasmette un senso di grande insicurezza e precarietà, disposizioni che inevitabilmente la guerra porta con sé. A pervadere tutto lo spazio scenico è un senso di dominanza della natura sull’uomo, ma, allo stesso tempo, la convinzione che qualsiasi paesaggio, il sublime e l’orrendo, vive solo se abitato da una presenza umana.
Il cast alternativo della serata da me presenziata, ha visto il cambiamento, rispetto alla prima, di tutti i protagonisti. Riccardo Zanellato, nei panni di Attila è molto credibile. La sua voce è piena e non perde mai spessore e la sua interpretazione riesce a cogliere le sfumature del personaggio: potere, lealtà, solitudine. Anche l’Ezio di Gezim Miskheta è molto convincente con il suo timbro brunito e la capacità di imprimere grande energia al personaggio attraverso vigorosi accenti. L’incontro tra Attila ed Ezio e il duetto che ne consegue è intenso, intriso di sete di potere, di fierezza. Uno scontro virile nel quale non avrà la meglio l’accordo, che Attila rifiuta, ma la fierezza di conquistare il proprio potere sul campo di battaglia, dove i due promettono di rincontrarsi. Quella che convince meno è Sfefanna Kybalova nei panni di Odabella. La sua vocalità è spesso diseguale e tende a stridere negli acuti con un suono che, in alcune occasioni, risulta piuttosto fastidioso. Giuseppe Gipali con Foresto, l’amato di Odabella che ella credeva perduto e invece ritrova, regala agli spettatori un’interpretazione convincente con una buona musicalità e una presenza scenica accattivante.
Il fascino dell’opera pensata da Verdi sta nel suo essere dislocata su vari livelli: eroismo, furore bellico, inganni, spiritualità, odio, amore, ipocrisie mettono in luce le singolarità in un quadro d’insieme avvincente creato dai personaggi stessi e dall’energia della musica. Il fluire di colori, accenti, metri e dinamiche vengono resi ancora più avvincenti dalla direzione di Michele Mariotti e dal suo senso di ricerca del dettaglio, unico pertugio dal quale è possibile stillare la grande musica e la grande arte.