I Cervelli in tempesta, con la regia di Lorenzo Tarocchi e in collaborazione con Amnesty International, avvicinano la lente all’olocausto dimenticato degli omosessuali attraverso il testo straziante di Martin Sherman. Bent racconta la storia di Max, omosessuale tedesco che, soffrendo di attacchi d’ansia, spesso è costretto a contare fino a dieci per calmarsi. Dopo una serata movimentata di cui non ricorderà niente, porta a casa Wolf, un SA che non va tanto a genio a Rudy, ragazzo di Max, ma soprattutto alle SS, che la mattina seguente, per ordine di Hitler, lo uccidono a sangue freddo sul portone della catapecchia dove vive la coppia di omosessuali. “1, 2..” Siamo nel 1934 e il clima impone agli “indesiderabili” di fuggire. Max riesce a ottenere i documenti, ma decide di restare con Rudy. Pochi giorni dopo sono entrambi su un treno diretto a Dachau; soltanto Max però arriverà alla fine della corsa, già stremato nello spirito e pronto alla regressione psicologica che i nazisti inculcavano. “..3,4..” Sul treno il protagonista conosce Horst, che ha cucito sulla divisa il triangolo rosa degli omosessuali. Max, invece, si è guadagnato a caro prezzo la stella gialla degli ebrei, perché i triangoli rosa sono vittime di trattamenti ancora più disumani. “..5,6..” Certo non se la spassano, le stelle gialle, ma sempre meglio dei triangoli rosa e lui, lui è una stella gialla. “..7,8..” Horst è già stato a Dachau e sa come funziona, Max impiega poco a capire come corrompere alcune guardie e riesce a far spostare Horst dalle attività da triangoli rosa a quelle da stelle gialle: non spaccherà più pietre, ma porterà i mattoni, uno alla volta, da una parte all’altra del perimetro indicato, e poi indietro, e ancora, e ancora. Forse le pietre spaccate serviranno a costruire qualcosa, ma i mattoni sono meno faticosi, sono da stelle gialle. Il segreto è pensare ad altro, avere qualcuno con cui parlare, stando attento a non guardarlo troppo negli occhi. Sherman riesce a scavare nella natura umana e a trovare un erotismo inedito nel rapporto tra due persone che si toccano solo attraverso la voce. Il pensiero salvifico dell’amore tiene lontana la malattia, la fatica, la pazzia. “..9..” I corpi che si muovono nell’immaginazione potente e indispensabile di due amanti riescono ad unirsi in un amplesso liberatorio che non vede più mura né recinzioni, né stelle né triangoli. L’amore è l’unica via di salvezza, l’amore nobile sentimento e l’amore primitiva carnalità, in un legame inviolabile che nella violazione della vita, nella persecuzione dell’individuo non può perder tempo dietro al pudore e all’orgoglio.
Le fredde barre di ferro di una doccia terrificante, una pedana rigida di legno e qualche mattone sono l’unico accenno di una scenografia minima, che deve soltanto alludere all’atrocità: il movimento pieno degli attori e le parole calibrate di un testo inevitabile bastano a riempire la scena e a imporre una riflessione su una gretta discriminazione con cui dobbiamo ancora fare i conti.
Il titolo del testo è intraducibile e pregnante: Bent in inglese significa “piegato, curvo”, da cui “invertito”, “gay, omosessuale”, “rubato”, ma anche “deciso, risoluto”. Max, a cui è stata tolta anche l’ultima briciola di umana speranza, si toglie la vita curandosi di avere sul petto un triangolo rosa. “..10.”