Il Teatro Fabbricone di Prato inserisce nella programmazione un testo di Sarah Kane, capofila della cosiddetta “New Angry Generation” e morta suicida all’età di soli ventotto anni quando la psicosi la vinse in un’alba solitaria di un ospedale psichiatrico. I testi della Kane non frequentemente approdano sui palchi dei nostri teatri italiani, seppur in Inghilterra l’autrice abbia segnato una pietra miliare della nuova drammaturgia inglese.
Lo spettacolo proposto è Crave (tradotto in italiano Febbre), regia di Pierpaolo Sepe, regista che da anni sta conducendo uno studio su questa tormentata autrice ed in particolare su questo testo.
Con questo spettacolo il pubblico diventa testimone di un’esperienza visionaria nella quale si intervallano e si cadenzano momenti di orrore, violenza, sopraffazione ed agghiacciante brutalità a quelli malinconici e disperati dei suoi quattro personaggi.
Gli attori non si mettono nei panni di personaggi perfettamente delineati, ma quello che ne esce fuori è un’orchestrazione fonica di quattro elementi tutti riconducibili a un monologo interiore della stessa Kane che probabilmente cercava nel testo una propria verità e la bellezza di vivere. Lo spettacolo viene cadenzato da monologhi, brevi frasi e suoni, brevi frammenti di storie. In scena A (autore o abusatore), C (child), B (boy) e M (mother); tutti febbrilmente cercano loro stessi e una propria verità, spasmodicamente tentano di abbattere quel muro che è dentro ognuno di noi e che ci impedisce di guardare oltre al nostro personale dolore e alla nostra personale situazione di vita, ma lo fanno inutilmente, il muro né si abbatte né si può scavalcare.
Lo spettacolo perfettamente ci riconduce a un mondo interiore dei quattro personaggi, dell’autrice e forse anche di noi stessi ed essere spettatori di questa versione di Crave è un’esperienza umana anche grazie ai quattro bravissimi attori (Gabriele Colferai, Dacia D’Acunto, Gabriele Guerra, Morena Rastelli) che senza riserve si mettono al servizio di un testo per niente semplice e che invece chiede tanto.