Autore e regia: Antonio Rezza e Flavia Mastrella, collaborazione alla regia di Massimo Camilli
Attori: Antonio Rezza, Ivan Bellavista, con la partecipazione di Timoty Granger
Habitat: Flavia Mastrella
Disegno luci: Mattia Vigo
Riprese sonore: Massimo Simonetti
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Da tempo il teatro di Antonio Rezza e Flavia Mastrella si è imposto nel panorama nazionale e internazionale come una originale combinazione di scene, costituite da teli e sculture mobili, e performance attoriale, basata su un sapiente uso della mimica, specialmente del volto, e della voce. L’installazione scenografica, oltre ad avere una significazione autonoma (la X citata nel titolo fa riferimento alla disposizione incrociata di due lunghi teli al centro della scena, alludendo al tema del Divieto, della Tirannia) è ideata da Flavia Mastrella come “habitat” scenico, per fungere da area di azione e materiale d’uso per gli attori. Antonio Rezza, dal canto suo, si è costruito una galleria di tipi fissi che fa nascere e morire sulla scena nello spazio di pochi secondi o minuti attraverso la deformazione grottesca della maschera facciale associata ad un uso della voce altrettanto stilizzato (per non parlare di una notevole abilità trasformistica).
Si tratta di un esperimento di scrittura scenica che prescinde dalla stesura di una drammaturgia scritta ed è frutto del lavoro di improvvisazione di Antonio Rezza e, in questo caso, dei suoi collaboratori “muti” Ivan Bellavista e Timoty Granger, in relazione all’“habitat” predisposto per l’occasione che viene continuamente trasformato creando forme sceniche sintetiche. I grandi temi affrontati nello spettacolo come la santità, l’oppressione dell’individuo nella società contemporanea, il sesso ecc., si materializzano quindi con freschezza e semplicità attraverso le immagini di corpi continuamente rimodellati nell’interazione coi teli: Rita da Cascia e la consorella con un velo extra large intonano una litania che più che a una preghiera finisce per somigliare a un’irresistibile ecolalia; l’immobile Ivan Bellavista nei panni dell’Individuo oppresso dall’Ansia, mostra solo la testa al di fuori del drappo mentre Antonio Rezza, coperto da un lenzuolo più scuro lo incalza con ghigni feroci e rapidi movimenti avvolgenti; Rezza propone attraverso il gioco di innalzamento-abbassamento del telo-siparietto fugaci apparizioni di nudo maschile, riconducendo l’Osceno allo sprigionarsi di un originaria forza vitale (comica ma anche paradossalmente pudica).
La recitazione di Antonio Rezza, sanguigna, di matrice popolaresca-laziale, ha uno stile inconfondibile che innerva tutte le sue personificazioni sceniche e, partendo da situazioni minimali come la solitudine, la dissociazione interiore, la crisi del rapporto di coppia, sviluppa un vortice di gag paradossali in cui nonsense, humour corrosivo e demenzial-surreale contribuiscono, sulla scia del miglior Petrolini, all’immissione in un universo assurdo, non sempre innocuo. Quello di Rezza-Mastrella è infatti un teatro catartico che va al di là dello spunto comico-satirico; spingendo la provocazione oltre la polemica spicciola, vuole giungere, artaudianamente, ad una moderna forma di rito collettivo in cui attraverso la smitizzazione parodica dei fondamenti della nostra civiltà, recupera un rapporto primigenio con la vita, il corpo, l’identità, il credo (religioso o laico che sia). La rappresentazione in negativo dell’uomo civile come X spezzata, annullata, nella non solo matematica operazione di divisione, dall’Istituzione (in forma di Famiglia, Chiesa, Ospedale, Televisione ecc.), apre le porte, in un gioco funambolico, al recupero della dimensione primaria della partecipazione all’evento teatrale in cui il temporaneo smarrimento dei riferimenti valoriali e identitari trasmessosi dagli attori al pubblico, prelude ad un complessivo sconfinamento foriero di un rigenerante scambio energetico. Esempio eclatante di ciò è la lunga sequenza in cui Rezza nei panni di Rocco riproduce la voce di Rita, impersonata da Ivan Bellavista che lo segue in sincrono col movimento labiale: la dinamica di dissociazione schizofrenica e di deprivazione dell’identità viene portata all’estremo fino a quando anche il pubblico viene coinvolto da Rezza che, prima dal proscenio e poi direttamente in platea, interagisce con uno spettatore, scivolato nel comico e rischioso gioco di confusione identitaria.
In un volume uscito recentemente (Flavia Mastrella e Antonio Rezza, Clamori al vento, Il Saggiatore, 2014) Rezza ha dichiarato che con l’andar degli anni il suo viso è diventato più demoniaco, perdendo “il ghigno che dava spazio all’utopia”. A me pare che in Fratto_X, spiri ancora ben forte, e nemmeno tanto sottotraccia, il vento dell’utopia professata e praticata da alcuni teatranti d’eccezione del secolo scorso, di un teatro di rifondazione, al tempo stesso d’avanguardia e popolare.