produzione GOLDENART
di Joseph Conrad
con Alessio Boni e Marcello Prayer
e con Francesco Meoni
traduzione e adattamento Francesco Niccolini
drammaturgia Alessio Boni, Roberto Aldorasi, Marcello Prayer, Francesco Niccolini
violoncellista Federica Vecchio
maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
musiche Luca D’Alberto
scene Massimo Troncanetti
costumi Francesco Esposito
light designer Giuseppe Filipponio
regia Alessio Boni, Roberto Aldorasi
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Al Teatro della Pergola da giovedì 11 a domenica 21 febbraio Alessio Boni incarna incubi e ossessioni che dall’Ottocento accompagnano la cultura occidentale fino ai giorni nostri. I duellanti di Joseph Conrad, interpretati da Boni e Marcello Prayer, che curano anche la drammaturgia con Roberto Aldorasi e Francesco Niccolini (autore della traduzione e adattamento), mentre la regia è dei soli Boni e Aldorasi, si presentano come un’opera su di un mondo in rapida estinzione e al tempo stesso come un capolavoro dell’assurdo: storia di uomini e armi, inutili eroismi e stupide follie, cronaca di una lotta interiore contro se stessi. Non c’è, infatti, solo il racconto di Conrad, ma anche quello di due pazzi fuori dal tempo che, in un Fight Club ante litteram, si fanno ussari e giocano avidamente a farsi a pezzi, senza riuscire a smettere.
Accolto con favore al Festival dei Due Mondi di Spoleto l’estate scorsa, lo spettacolo inizia la sua tournée nazionale dal massimo teatro fiorentino.
Giovedì 18 febbraio, ore 18, sempre alla Pergola, Alessio Boni e Marcello Prayer incontrano il pubblico. Coordina Riccardo Ventrella. Ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili.
È la prima volta in assoluto che viene adattato per il teatro Un racconto militare: il duello, pubblicato da Conrad nel 1908 e tratto da una serie di conversazioni che lo scrittore polacco naturalizzato inglese ebbe a Montpellier con un ufficiale di artiglieria. Un lavoro a lungo snobbato dalla critica, ritenuto minore rispetto a Cuore di tenebra o La linea d’ombra. È stato il cinema a portarlo al successo nel 1977 con quel piccolo capolavoro che è I duellanti: la prima regia di Ridley Scott fotografava in modo malinconico e spietato, fra i brumosi paesaggi del centro Europa, la sfida senza senso tra l’elegante Armand D’Hubert (Keith Carradine) e il sanguigno Gabriel Florian Feraud (Hervey Keitel), che incarnavano un’epoca agitata da sogni di conquista imperiali e dalle disillusioni della Restaurazione. Al Teatro della Pergola, da giovedì 11 a domenica 21 febbraio, Alessio Boni dà corpo a D’Hubert, mentre Marcello Prayer è Feraud, il suo eterno sfidante. Entrambi sono allievi del Maestro Orazio Costa, amici di formazione artistica e nella vita. Con loro in scena ci sono anche Francesco Meoni, alle prese con una prova impegnativa (cinque ruoli: lo zio di Adèle, il colonnello Marchand, il potentissimo Fouché, un soldato e un giardiniere) e la violoncellista Federica Vecchio, che quando non suona si offre nelle vesti di Adèle, la fidanzata di D’Hubert, e madame de Lionne. La messinscena è patrimonio collettivo, collettivamente investito: Francesco Niccolini ha tradotto e adattato il racconto di Conrad, la drammaturgia è di Alessio Boni, Roberto Aldorasi, Marcello Prayer e dello stesso Niccolini, mentre la regia è dei soli Boni e Aldorasi. Nel resto della produzione, spicca un nome storico dello spettacolo italiano, che ha insegnato a tirare di scherma ai più grandi attori di tutto il mondo, il maestro d’armi Renzo Musumeci Greco: solo lui avrebbe potuto “allestire” un duello inedito di sciabola – teatralmente parlando – tra un destro e un mancino. La produzione è Goldenart, mentre la Fondazione Teatro della Toscana ha fornito gli spazi del Teatro della Pergola per il laboratorio di drammaturgia sul testo.
Durante le campagne napoleoniche due brillanti ufficiali, apparentemente diversissimi, iniziano, per motivi molto più che futili, un’interminabile serie di accaniti duelli che s’intreccia e sovrappone alle guerre. L’eroica fedeltà alla loro misteriosa sfida reciproca accompagna D’Hubert e Feraud per vent’anni, fino al duello decisivo. L’idea forte è che i due protagonisti non si fronteggiano sugli opposti versanti del campo di battaglia: sono ufficiali dello stesso esercito, la Grande Armée di Napoleone Bonaparte. Ussari, per l’esattezza. Armand D’Hubert, posato e affascinante uomo del nord, e Gabriel Florian Feraud, guascone iroso e scontento, inanellano sfide a duello che li accompagnano lungo le rispettive carriere, senza che nessuno sappia il perché di questo odio così profondo.
“La sfida iniziale tra D’Hubert e Feraud non si conclude”, interviene Alessio Boni, “per via del codice cavalleresco: se uno dei due viene ferito e non muore bisogna sospendere il duello, altrimenti si è dei vigliacchi a colpire qualcuno che è steso a terra e che non riesce più a duellare. Questo duello ha vent’anni di ripercussioni tra loro due, ed è una follia, che continua a perseguitare questi due esseri umani. Si sfidano come avversari, ma allo stesso tempo si rendono conto di non poter fare a meno l’uno dell’altro. Il messaggio dello spettacolo, al di là del sangue e del duello, è che in qualsiasi ambito tu abbia scelto di muoverti prima o poi una stoccata nella vita devi darla perché quando sei nato non puoi più nasconderti”.
Secondo Marcello Prayer “questi due personaggi duellano per ammazzarsi, ma la vita è più forte del duello: appaiono entrambi come delle figure tutte d’un pezzo, in realtà si muovono in zone grigie, perché la loro sfida è concreta, ma allo stesso tempo metaforica. È come mettersi davanti a uno specchio: ritrovi il tuo riflesso e ti vengono sputati in faccia i multipli che ti appartengono… La nostra è una sfida per l’eternità”.
Con una regia cinematografica, fatta più di assolvenze e dissolvenze che di entrate e uscite, e visionaria, dove il passato è nel futuro e viceversa, tutta la vicenda accade in un non luogo che non sa di Ottocento, ma piuttosto di una rimessa di Marsiglia o uno scantinato di New York, dove ci sono tanti oggetti accatastati, tra cui proprio un busto di Napoleone. I duellanti di Boni, Prayer, Aldorasi e Niccolini sono fedeli al testo e allo spirito dei personaggi, dicendo anche frasi da altri romanzi di Conrad, come La linea d’ombra. Spuntano anche i versi delle bibliche lamentazioni di Giobbe, messe in bocca al disperato Feraud, mandato al confino dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo.
“Il duello è una metafora di quanto ci mancano oggi la dignità, l’etica, il rispetto e l’onore”, ragiona Alessio Boni, “un monito per prendere in mano la propria vita e non semplicemente sopravvivere, piuttosto tentando di vivere fino in fondo la nostra esistenza, senza mollare mai. È come se i personaggi fossero dei folli che si ritrovano là sotto per combattere ed è solo così che si assapora la vita, mentre sopra c’è la vita nella sua tetra serenità. “Non sopravvivete, ma vivete e date la stoccata in qualcosa”: questo è quello che I duellanti vogliono significare”.
Un grande gioco di specchi e di doppi: D’Hubert è il doppio di Feraud e viceversa. Feraud non intende in nessun modo fare sconti a D’Hubert, D’Hubert non vuole sottrarsi a Feraud. L’uno non può fare a meno dell’altro. Uno scontro violento e inevitabile, desiderato, dove, in realtà, il vero avversario non esiste. Anzi, molto peggio: siamo noi stessi.
Conclude Marcello Prayer: “I duellanti non è la storia di un solo personaggio, anzi è il molteplice che esplode, il doppio esponenziale. La sfera in cui navigo è una sfera buia, è la zona nera che è dentro a ciascuno di noi. Le tonalità dello spettacolo sono rabbiose, ma con un livore che tocca il senso dell’onore. Questa continua tensione di confronto verso l’altro in forma di duello ti fa capire, alla fine, che quello che stai sfidando non è nient’altro che te stesso”.
E di quel duello ne abbiamo più bisogno dell’aria che respiriamo. Senza, siamo morti.
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Interviste di Angela Consagra da Pergolainsala
ALESSIO BONI
Ne I duellanti lei interpreta Armand D’Hubert, un ussaro dell’esercito napoleonico…
“Armand D’Hubert è un uomo tutto d’un pezzo, di natali nobili, probabilmente con un padre o uno zio già nell’esercito… La disciplina è molto importante per la famiglia di D’Hubert, anche se lui pian piano se ne disinnamora: assiste a massacri e carneficine inutili e dunque si allontana da quel mondo, comincia ad appartenere a se stesso e a pensare con la propria testa, cosa impensabile in quel periodo storico per un ussaro che era completamente votato e dedito a Napoleone. È un uomo che parte con una grande carica nei confronti del suo Imperatore, ma dopo tante vicissitudini e disillusioni della sua esistenza qualcosa cambia. Incontra Gabriel Florian Feraud, in modo quasi banale: D’Hubert doveva prenderlo e portarlo agli arresti domiciliari a causa di un duello fatto con un civile, qualcosa che all’epoca era vietato fare. Va a cercare Feraud dalle dame di compagnia che erano a Strasburgo in quel periodo e viene immediatamente sfidato a duello: a Feraud non va giù che questo damerino sia venuto a cercarlo mentre stava con una dama di compagnia…”
Il duello D’Hubert-Feraud, che continua poi per tutta la vita, che tipo di sfida assume?
“La sfida iniziale tra D’Hubert e Feraud non si conclude per via del codice cavalleresco: se uno dei due viene ferito e non muore bisogna sospendere il duello, altrimenti si è dei vigliacchi a colpire qualcuno che è steso a terra e che non riesce più a duellare. Questo duello ha vent’anni di ripercussioni tra loro due, ed è una follia, che continua a perseguitare questi due esseri umani. Si sfidano come avversari, ma allo stesso tempo si rendono conto di non poter fare a meno l’uno dell’altro. D’Hubert addirittura a un certo punto arriva a salvare dalla ghigliottina Feraud, intercede per lui con il Ministro della giustizia: è un gesto istintivo, anche se poi seguirà ancora un nuovo duello tra i due… Quest’uomo è l’unico che lo tiene sulle spine: il rischio di perdere la vita dà adrenalina e sono le vibrazioni più alte dell’esistenza stessa. Il messaggio dello spettacolo, al di là del sangue e del duello, è che in qualsiasi ambito tu abbia scelto di muoverti prima o poi una stoccata nella vita devi darla perché quando sei nato non puoi più nasconderti. D’Hubert e Feraud sono due lati della stessa medaglia, il bianco e il nero. Feraud è una sorta di Minotauro che sta dentro a D’Hubert, gli circola nelle viscere: è quello che più detesta, ma di cui ha più bisogno. Forse D’Hubert non ce la fa più a stare sempre in mezzo a dei borghesi, a degli uomini che dicono sempre di sì, ma che temono le emozioni. Lui non sopporterà più questa borghesia che compie solo delle piccole trasgressioni per sentirsi viva, ma che in realtà non vive realmente la propria esistenza. È difficile riuscire a spiegare questo antico codice che si instaura tra D’Hubert e Feraud, proprio perché è lontano nel tempo. Una volta, per esempio, a mio nonno bastava una stretta di mano per siglare un contratto: non c’era bisogno di firme e avvocati, bastava guardarsi negli occhi… Il duello è una metafora di quanto ci mancano oggi la dignità, l’etica, il rispetto e l’onore. Un monito per prendere in mano la propria vita e non semplicemente sopravvivere, piuttosto tentando di vivere fino in fondo la nostra esistenza, senza mollare mai”.
Come si imposta la regia in questo duello di anime?
“L’idea è che l’azione si svolga in una sorta di fight club, una specie di rimessa che potrebbe trovarsi a Marsiglia o in uno scantinato di New York… Una coreografia scenica che potrebbe essere qualsiasi posto del mondo, un underground dove ci sono tanti oggetti accatastati: delle casse, un busto di Napoleone… È come se i personaggi fossero dei folli che si ritrovano là sotto per combattere ed è solo così che si assapora la vita, mentre sopra c’è la vita nella sua tetra serenità. “Non sopravvivete, ma vivete e date la stoccata in qualcosa”: questo è quello che I duellanti vogliono significare”.
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MARCELLO PRAYER
Gabriel Florian Feraud, che personaggio è?
“I duellanti non è la storia di un solo personaggio, anzi è il molteplice che esplode, il doppio esponenziale. La sfera in cui navigo è una sfera buia, è la zona nera che è dentro a ciascuno di noi. Le tonalità dello spettacolo sono rabbiose, ma con un livore che tocca il senso dell’onore. Questa continua tensione di confronto verso l’altro in forma di duello ti fa capire, alla fine, che quello che stai sfidando non è nient’altro che te stesso”.
Feraud, a un certo punto, viene salvato da D’Hubert…
“Feraud è un cavallo capriccioso, come sono tutti gli ussari cavalleggeri. Questi due personaggi duellano per ammazzarsi, ma la vita è più forte del duello: appaiono entrambi come delle figure tutte d’un pezzo, in realtà si muovono in zone grigie, perché la loro sfida è concreta, ma allo stesso tempo metaforica. È come mettersi davanti a uno specchio: ritrovi il tuo riflesso e ti vengono sputati in faccia i multipli che ti appartengono… La nostra è una sfida per l’eternità”.
In questo spettacolo la drammaturgia è collettiva, frutto del lavoro di più voci?
“Il progetto che stiamo cercando di creare, al di là de I duellanti, riguarda tutto un gruppo di lavoro: Alessio Boni e Roberto Aldorasi più per la parte di regia e di pratica teatrale, mentre io e Francesco Niccolini più verso la drammaturgia. Siamo un quartetto, che tenta di fare delle cose insieme. In particolare la drammaturgia, in un testo come questo, devi acchiapparla nel suo nascere, nel suo farsi battuta… In un testo teatrale la battuta è già segnata, mentre in un romanzo o un racconto devi tirare fuori la teatralità evidenziando le diverse dinamiche, i ritmi e i toni drammatici, gli eventuali colpi di scena. È un lavoro di scorporo e di asciugatura di un romanzo, per fare in modo che si trasformi in battuta viva”.
Il vostro duello in scena non vi rende distanti, ma vi unisce, proprio come nella vita la vostra amicizia…
“Io e Alessio siamo diventati come fratelli negli anni, anche perché veniamo da una stessa matrice di formazione teatrale, che è quella del Maestro Orazio Costa. Il nostro Maestro comune ci ha dato l’input, il coraggio per un azzardo perché, essendoci formati entrambi attraverso la disciplina del Coro, questo insegnamento ci ha permesso di sperimentare. Da tempo lavoriamo insieme sulla poesia italiana e partendo da questa linea, in particolare per questo spettacolo, ci rimbalziamo la voce reciprocamente cercando di crearne una sola. Il confronto tra D’Hubert e Feraud è dato anche dal racconto reciproco: riferiscono ciò che hanno vissuto e si rincorrono, parola per parola…”
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Tournée
11- 21 febbraio, Firenze, Teatro della Pergola
23-28 febbraio / 1-6 marzo, Roma, Teatro Quirino
8-10 marzo, Savona, Teatro Chiabrera
17-18 marzo, Livorno, Teatro Goldoni
22 marzo, Cattolica, Teatro Della Regina
14-17, aprile, Ancona, Teatro Delle Muse
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BIGLIETTI
Prezzi
INTERI
€ 32,00 PLATEA ● € 24,00 PALCHI ● € 16,00 GALLERIA
Ridotti (escluso domenica)
OVER 60
€ 28,00 PLATEA ● € 20,00 PALCO ● € 14,00 GALLERIA
UNDER 26
€ 20,00 PLATEA ● € 16,00 PALCO ● € 12,00 GALLERIA
SOCI UNICOOP FIRENZE (martedì e mercoledì)
€ 25,00 PLATEA ● € 18,00 PALCHI ● € 13,00 GALLERIA
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BIGLIETTERIA
Teatro della Pergola, via della Pergola 30, 055.0763333 biglietteria@teatrodellapergola.com.
Orario: dal lunedì al sabato dalle 9.30 alle 18.30.
Online su http://www.boxol.it/TeatroDellaPergola/IT/?A=137968 e tramite la App del Teatro della Pergola.
Circuito regionale Boxoffice.