Per la prima volta Il grande dittatore arriva a teatro, vinte finalmente le resistenze degli eredi che non concedevano i diritti di adattamento del capolavoro di Charlie Chaplin, primo film sonoro in cui l’attore abbandona la maschera di Charlot.
Potrebbe definirsi, quindi, una prima mondiale la commedia musicale che Massimo Venturiello ha trasposto per le scene, con il consistente supporto delle musiche di Germano Mazzocchetti, condividendo la regia con Giuseppe Marini.
Il film scritto, diretto e interpretato da Chaplin nel 1940, parodiava mordacemente il delirio di onnipotenza, asse portante del nazismo, in cui Adenoid Hynkel era lo squilibrato dittatore che giocava con il destino dell’umanità. La distribuzione in Europa in quel particolare frangente storico venne vietata fino alla fine della guerra, in Italia fu inoltre sottoposto dalla censura ai drastici tagli delle sequenze parodistiche della moglie di Mussolini, così come risultò molto manipolata la riedizione del 1972. La versione integrale venne distribuita solo nel 2002, con vistose anomalie di doppiaggio.
Felice operazione questa trasposizione teatrale a cui la connotazione di commedia musicale conferisce un’aura di straniante umorismo e grottesca comicità. La pantomima sulla crudeltà del potere, che un inconsapevole ma profetico Chaplin rappresentò quasi in tempo reale rispetto alle drammatiche vicende storiche, in questa rappresentazione diventa una tragica e beffarda favola senza tempo, in cui l’umanità può rimanere avviluppata in un momento di depressione economica o inflazione monetaria.
Massimo Venturiello aderisce fisicamente al doppio ruolo del mite barbiere ebreo la cui bottega è presa di mira dalla polizia con la doppia croce, e quello di Adenoid Hynkel paranoico dittatore di Tomania che gioca con un piccolo mappamondo e lancia proclami alla nazione in un gramelot privo di senso logico e tuttavia sardonicamente comprensibile.
Germano Mazzocchetti è autore della drammaturgia musicale che sembra trarre spunto da “La resistibile ascesa di Arturo Ui” di Brecht del 1941. Le parti cantate da Venturiello/Hynkel ne esasperano la figura surreale, toccanti invece quelle cantate nel ruolo del barbiere e da tutta la compagnia. La splendida voce di Tosca echeggia il dolore di un popolo e di Anna, ragazza costretta a sperimentare l’ottusa violenza di un manipolo di soldati, alternando versi in italiano ad altri in yiddish, con una struttura musicale che ricorda il klezmer della tradizione ebraica. Nella seconda parte svolge anche lei un doppio ruolo: oltre ad Anna, interpreta la moglie di Napoloni, completamente trasformata in un donnone di notevole stazza che barcolla grottescamente sulla minuscola sedia, mentre l’alleato Napoloni dittatore di Batalia, dalle spiccate sembianze mussoliniane, sovrasta con la sua esuberante eloquenza romagnola e l’imponenza fisica il quasi rattrappito Hynkel.
Memorabile il discorso finale, in cui il barbiere si sostituisce al dittatore lanciando alla popolazione un messaggio di pace e fratellanza.
Essenziale la scena girevole di Alessandro Chiti, i costumi di Sabrina Chiocchio sottolineano l’aspetto caricaturale dei personaggi, delicate le coreografie di Daniela Schiavone. Gli altri interpreti sono Lalo Cibelli, Camillo Grassi, Franco Silvestri, Sergio Mancinelli, Gennaro Cuomo, Pamela Scarponi, Nico Di Crescenzo, Alessandro Aiello.
Con queste parole, Venturiello introduce questo lavoro: “Potrebbe sembrare un’idea presuntuosa decidere di confrontarsi con un progetto di questa portata. Ciò che mi tranquillizza è il fatto che il Teatro, quello vero non insegue paragoni, ma è materia viva, creativa, e questo lo distingue da qualsiasi altra forma artistica… è fondamentale mantenere l’ironia, il sarcasmo e l’irresistibile comicità di un’opera in cui la musica e le parti cantate saranno grandi protagonisti”.
Il co-regista Giuseppe Marini aggiunge: “La Storia ci ha insegnato che ogni regime dittatoriale si avvale di una precisa e spiccata teatralità per imporsi e radicarsi, di costumi, simboli, gesti, idiomi. Chaplin ne Il grande dittatore parodizza l’aberrazione nazista mettendola in ridicolo. In ambito teatrale e nello stesso periodo, l’avventura brechtiana produceva Terrore e miseria del Terzo Reich e La resistibile ascesa di Arturo Ui. Il nesso tra Chaplin e Brecht è per me molto stimolante e troverà riscontro in ambito registico nello spettacolo che, come ogni trasposizione teatrale di un’opera cinematografica, prevede irrinunciabili tradimenti”.