Senz’altro meritevole di encomio avere portato sul palcoscenico la tematica del matrimonio omosessuale in questa commedia dai toni brillanti scritta nel 2009 (nello stesso anno è uscito il testo teatrale per i tipi della Titivillus) da Daniele Falleri (Pontedera/PI 1961), sceneggiatore e regista di teatro e di televisione, da lui stesso messa in scena nel 2010 e ripresa successivamente con alcune varianti che non ne mutano l’essenza. Si tratta di un legame tra due persone dello stesso sesso le quali al di là delle pulsioni erotiche trovano reciproco conforto, aiuto, entusiasmo e fiducia in se stessi: tale tipologia di relazione dal 2009 a oggi in Italia ha subito una significativa evoluzione almeno nell’immaginario collettivo più abituato a parlarne, anche se non a capirla perché complessa come tante situazioni esistenziali antiche quanto il mondo.
Significa allora che si sono superati tutti i pregiudizi e che i due innamorati possono convolare a ‘giuste’ nozze non in Italia – dove c’è una conclamata disponibilità a guardare con occhio benevolo un marito che corre la cavallina o una moglie che fa altrettanto, ma non a lasciare vivere in pace due persone dello stesso sesso che provano sentimenti seri – ma in Spagna in cui come in quasi tutta Europa dal punto di vista legislativo si è un passo avanti?
E cosa può succedere se i due protagonisti superando finalmente la paura delle reazioni dei genitori vogliono fare cadere con una riunione shock il muro d’incomunicabilità saldamente costruito negli anni manifestando le proprie gioie ed emozioni ai futuri suoceri (dalle quattro personalità differenti: una vamp terrorizzata dal trascorrere degli anni con un marito scialbo e un rustico conciapelli con una megera scostante e inacidita per moglie e per di più agghindata da suora laica) sconosciuti gli uni agli altri e rendendo finalmente noto di sentirsi attratti da persone dello stesso sesso?
Argomenti seri, importanti e delicati che chiamano in causa i rapporti tra generazioni diverse e tra genitori e figli non solo per l’argomento trattato che solo all’apparenza sembra essere più dirompente di altri quali la scelta di un partner eterosessuale non gradito o addirittura… di un’altra razza, la droga, le cattive compagnie… et similia, situazioni in cui si evidenzia spesso la temuta reazione parossistica parentale, coronamento di incomprensioni e incapacità di vedere, frutto di cecità assoluta quando non di egoismi, noncuranza, disinteresse, indifferenza…
Giusta, quindi, l’intenzione di affrontare tali temi attraverso il teatro che, stemperando le esacerbazioni, ridicolizza gli stereotipi sociali che vanno per la maggiore. Risulta estremamente positiva la caratterizzazione dei due ragazzi come semplici, spontanei e non effeminati: giovani d’oggi senza fronzoli alle prese con il comune e affascinante nonché gravoso problema di vivere e costruirsi un futuro. Per questo il balletto iniziale e finale con piume e paillette è un po’ disomogeneo e strizza troppo l’occhio agli stereotipi della società nei confronti degli omosessuali.
La commedia è una simpatica metafora della società – non solo di oggi – di cui sono disvelati infinite e sedimentate ipocrisie di facciata e falsi pudori che celano colpe vere e più gravi come mostrano i toni esagerati e parossistici con cui sono tratteggiati i quattro consuoceri e la svagata e sognante ex amica di uno degli innamorati cooptata per demolire il rapporto tra i due ragazzi dignitosamente interpretati da Ludovico Fremont e Andrea Standardi.
Commedia nell’insieme divertente, anche se in alcuni punti il tono non è quello vivace del vaudeville, con attori che danno una buona caratterizzazione dei loro personaggi come Andrea Roncato e Roberta Garzia e pur nell’esacerbazione dei ruoli Pia Engleberth e Pietro De Silva.