La Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia porta in scena questa pièce di Arthur Schnitzler rappresentata per la prima volta in Italia, con la regia di Franco Però. Il regista annota che il titolo originale “Das Vermächtnis” in italiano si tradurrebbe come eredità, testamento, dono, ma si è preferito ricorrere al termine scandalo puntando l’attenzione sull’effetto morale e la potenza dirompente che il lascito provoca nell’ambiente familiare e sociale.
Scritta nel 1898, la commedia mette a nudo il conformismo che alligna nella borghese società mitteleuropea di fine secolo.
L’ovattata atmosfera dell’abitazione del professore e senatore Adolf Losatti, in cui si intrecciano chiacchiericcio femminile e giochi infantili, è sconvolta dall’infortunio occorso al figlio Hugo caduto da cavallo, circostanza che muta gli equilibri costituiti e strappa il velo delle ipocrisie: in fin di vita, il rampollo confessa di avere un figlio di cinque anni con una ragazza di bassa estrazione sociale e chiede ai congiunti di provvedere al loro ostentamento accogliendoli in casa.
I genitori rispettano questa volontà affrontando lo scandalo, ritenendo di poterne sostenere le conseguenze. Così non è, gli amici si allontanano, il contesto sociale è ostile all’imbarazzante presenza. Il diverso da sé fa paura, suscita sdegno e fastidio.
La remissiva Betty accoglie la giovane e il nipotino con quieta acquiescenza; il padre è sdegnato, tuttavia ama il piccolo Franz poiché, dopotutto, “è lo stesso sangue”. L’unica voce fuori dagli schemi, schietta e anticonvenzionale è quella di Emma, vedova del fratello di Betty, donna emancipata che stigmatizza il farisaico perbenismo e conversa su temi ritenuti di competenza maschile. Quando si verifica l’imponderabile, la precaria architettura di buoni sentimenti crolla repentinamente: con la morte improvvisa del bambino si ripristinano le convenzioni borghesi e la giovane è un’intrusa di cui doversi liberare. La mediazione di Emma si scontra con l’avversione di tutti, perfino della sua stessa figliola adolescente che non accetta un’estranea in casa. A Toni non rimane che sparire, lasciando un biglietto che non lascia presagire nulla di buono.
Molti sono gli elementi che suscitano scandalo nell’intreccio di questa pièce: le idee, la condotta, gli equilibri familiari, le convenzioni sociali.
Lucida e spietata, realistica e lungimirante, l’analisi di Schnitzler sui comportamenti di un ambiente che respinge l’inclusione. A oltre un secolo di distanza è cambiato il modello sociale ma non le dinamiche relazionali. Ogni epoca storica ha il suo diverso: nell’Ottocento perbenista era l’appartenente a un ceto inferiore, nel XXI secolo dell’Occidente globalizzato è l’immigrato.
Schnitzler sviluppa le sue tematiche parallelamente agli studi sulla psicanalisi di Sigmund Freud, dai quali è stato senz’altro influenzato, come si desume da un carteggio fra i due.
A Franco Però il merito di una regia curata in tutti i particolari, dalla recitazione all’allestimento. La scenografia di Antonio Fiorentino e il disegno luci di Pasquale Mari, col valido supporto dei costumi di Andrea Viotti, seguono l’evolversi degli eventi con un bagliore accecante che entra dalle finestre nel primo atto e un’atmosfera plumbea nel secondo, suggerendo raffigurazioni domestiche che sembrano ispirarsi ai quadri di Jan Vermeer.
Eccellenti tutti i protagonisti a partire da Franco Castellano che esprime le esternazioni del suo personaggio con esuberante e concreta introiezione. Stefania Rocca è misurata e intensa nel ruolo di Emma, Ester Galazzi è Betty, Filippo Borghi è Hugo, Astrid Meloni è Toni, Lara Komar è Franziska, Alessio Bernardi è Lulu, Federica De Benedittis è Agnes, Leon Kelmendi è Franz, Adriano Braidotti riesce a essere adeguatamente odioso nel ruolo del fidanzato dottor Schmidt, Andrea Germani è Gustav Brander, Riccardo Maranzana è il dottor Bernstein.