A bordo della Buena Onda i viaggiatori sono un po’ coccolati dai flutti del mare e un po’ cullati dalla dolce, malinconica storia di Gegè Cristofori (Rocco Papaleo), che intrattiene i passeggeri delle navi da crociera accompagnato dagli Incompresi (Francesco Accardo alla chitarra, Jerry Accardo alle percussioni, Guerino Rondolone al contrabbasso e Arturo Valiante al pianoforte). Il capitano della nave, Ruggero Chiaromonte (Giovanni Esposito) li accoglie personalmente nella sala della Pergola, anteprima di uno spettacolo che sconvolge l’ordinario assetto teatrale nella forma e nel contenuto: non si sa bene quando cominci e si percepisce che è finito soltanto dalla nostalgia che subito travolge, come in ogni viaggio che si rispetti. È un “originale esperimento espressivo”, come lo definisce lo stesso Papaleo, già autore di altri spettacoli di teatro canzone, spesso nati in concomitanza con i suoi film, ma che non avevano avuto, finora, una vera e propria trama. Questa volta, avvalendosi anche della collaborazione artistica di Giovanni Esposito, con cui si è creata una complicità perfetta, l’attore lucano vuole raccontare una storia, non allegra, non strabiliante. Una storia a cui si può facilmente credere e che lascerebbe anche l’amaro in bocca, se non fosse filtrata dalla morbida ironia e giustapposta alla componente musicale, che la completa e la alleggerisce. È una serata di intrattenimento, che coinvolge il pubblico e non gli permette di annoiarsi, un esercizio teatrale che scuote la platea e chiede uno sforzo agli assidui frequentatori del teatro. Senza alcuna presunzione l’equipaggio si propone nella sua semplicità e offre risate di gusto, ritornelli orecchiabili, momenti di inaspettata poesia. Il doppio ruolo degli interpreti, di attori sulla scena e di intrattenitori sulla nave da crociera, è in un equilibrio gradevolmente precario, che confonde le acque tra un Buona sera signorina e un Vieni via con me, per crollare con il magnifico ballo della Foca. Un finale liberatorio sulla scena e giù dal palco, uno sfogo terapeutico dalle convenzioni, un inno al ridicolo che, quando condiviso, non dà adito a derisione. E mentre si dondola, proprio appena dopo aver superato l’imbarazzo, quando i muscoli hanno smesso di opporre resistenza, si ha la limpida, rincuorante certezza di aver preso la vita nel verso giusto. E si ha anche l’impressione, sempre lì mentre si dondola, sfiorando con la spalla l’avambraccio dello stangone accanto a noi, che non sia poi molto recitata, la parte di Gegè, che Papaleo abbia un po’ messo a nudo se stesso, alla maniera di un meridionale coi controfiocchi, e che il teatro abbia una fenomenale capacità catartica non solo per chi lo guarda, ma anche per chi lo fa. La ricchezza di Buena Onda è nel bisogno istintivo che è venuto a qualcuno di crearlo, di far partecipe una platea di un dietro le quinte malinconico e insieme brioso. Leggero, ma non frivolo. Pieno, ma mai ridondante. Come il ricordo di un viaggio che si è accuratamente programmato, ma che poi è andato come è andato, trascinato da un’onda imprevista e incantevole, una buena onda.