Claudio Boccaccini tratteggia in punta di pennello il profilo umano, artistico e letterario di un autore controverso, e tuttavia amato ed evocato, che ha lasciato un’impronta indelebile nella società italiana e nella memoria collettiva della seconda metà del Novecento. E lo fa allestendo una rappresentazione non convenzionale, delicata e al contempo realistica, in un momento in cui i palcoscenici sono travolti da rievocazioni, spesso agiografiche, nel quarantennale della morte di Pasolini avvenuta il 2 novembre 1975. In una notte tragica che ha segnato uno spartiacque tra le tempestose reazioni che suscitava in vita, e le celebrazioni pedisseque e un po’ indolenti che ha riscosso dopo.
Boccaccini, autore del testo e regista, non osanna. Ricorda, invece, e cita sommessamente. Ricordando, rielabora le immagini e le suggestioni, restituendo un caleidoscopio di immagini dalle vibranti tinte oniriche, di felliniane reminiscenze. Senza soluzione di continuità si susseguono personaggi e frammenti di rievocazioni sceniche dei film, coreografate o recitate, brevi versi tratti da “Scritti corsari” o altre raccolte, pronunciati incidentalmente.
La Roma pasoliniana delle borgate e del sottoproletariato prende corpo e forma sul palcoscenico che si anima di interpreti, veloci nel cambio di ruolo e di costume, come in un libro pop up con le pagine che si sollevano creando variopinte strutture tridimensionali.
Nella degradata periferia romana ecco Accattone legato al suo triste destino e alla prostituta Maddalena che lo mantiene, metafora di una vita senza speranza, mutuato dal romanzo Una vita violenta. E poi Mamma Roma, fiera e grintosa portatrice di uno spasmodico desiderio di riscatto sociale dalla sua condizione di meretrice, per amore del figlio. Dal buio fondale avanza quatto un lucido corvo (l’intellettuale di sinistra prima della morte di Togliatti secondo la definizione del poeta), annunciato dall’assordante gracchiare mentre uno stuolo di giganteschi pennuti, alcuni bianchi altri neri (i falchi e i passeri di Uccellacci e uccellini) inscenano una aerea danza. Plastica e colorata la rievocazione del film La ricotta, coi figuranti che si dispongono secondo l’iconografia classica, ma saranno necessari vari ciak prima che si possa girare la scena per l’indisciplina generale. In un angolo il regista Orson Welles pronuncia frasi lapidarie tratte dai versi del poeta e fornisce fulminee risposte alle domande di un giornalista, tra le incursioni della comparsa Stracci alla ricerca del cestino del pranzo distribuito dalla produzione.
L’immagine finale dell’uomo riverso nella sabbia dell’idroscalo di Ostia sembra l’ulteriore sequenza di un film, ma non lo è. È l’atto finale della vita di un testimone discusso e contraddittorio che ha incarnato la frattura esistenziale tra l’intellettuale visionario e l’uomo dalle ambigue passioni, l’ideologia e la poesia.
Un omaggio che zampilla come un fiotto di sangue caldo, a Pasolini e a Roma che negli anni ’60 selvaggiamente si urbanizzava lungo le consolari orientali, facendo esplodere antinomie fra le sue anime antica e moderna, borghese e proletaria. Il titolo è tratto dai versi di 10 Giugno (in Pagine corsare), poesia allegata al verbale del processo per vilipendio della religione di Stato per il film La ricotta: “Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle Chiese, dalle pale d’altare, dai borghi dimenticati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone …. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno d’ogni moderno a cercare i fratelli che non sono più”.
Incisivi e fortemente caratterizzati tutti gli interpreti: Paolo Perinelli, Massimo Cardinali, Francesca Ceci, Simone Crisari, Beatrice Gregorini, Francesca Grilli, Federica Di Lodovico, Giulia Morgani, Fabio Orlandi, Luca Restagno, Tiziano Scrocca. Scene e costumi di Giuseppe Santilli, luci e fonica di Alessandro Pezza, grafica di Giorgia Guarnieri.