di Giancarlo Marinelli
tratto dall’omonimo racconto di Arthur Schnitzler
con Ivana Monti, Caterina Murino, Ruben Rigillo, Rosario Coppolino
e con Andrea Cavatorta, Francesco Maria Cordella, Serena Marinelli, Simone Vaio, Carlotta Maria Rondana
scene Andrea Bianchi
costumi Adelia Apostolico
musiche Roberto Fia
light designer Mirko Oteri
regia Giancarlo Marinelli
prodotto dalla Compagnia Molière
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Andare a teatro, mercoledì sera, mi ha ispirato alcune riflessioni. Prima tra tutte, la domanda: perché, oggi, uno spettatore Xy va a teatro? Quali desideri, speranze o aspettative nutre nei confronti della serata che lo aspetta?
Potrebbe forse andarci per una questione di status? Per coltivare un’idea un po’ modaiola di partecipare a eventi culturali – vado a teatro, ma potrei indifferentemente andare a una mostra o a un concerto etc.? Oppure per passare una serata diversa dal solito e svagarsi, di-vertirsi rispetto alla quotidianità? Oppure è un appassionato: gli piace il teatro come momento di condivisione, riflessione, rituale e quant’altro?
Qualsiasi cosa spinga Xy, andare a teatro lo porterà inevitabilmente a confrontarsi con due cose, tra le varie: con una professione – un gruppo di professionisti porteranno sul palco un arte o un mestiere, offrendo il frutto del proprio lavoro; con una condivisione – Xy, più o meno consapevole, condividerà un’esperienza con altri umani, i professionisti e il pubblico di cui fa parte.
Continuiamo allora con due domande. Da un lato: è lecito nutrire delle aspettative rispetto alla proposta dei professionisti del teatro? Dall’altro: è lecito decidere di interrompere la nostra partecipazione all’evento teatrale, qualora non ci sentissimo a nostro agio? A volte abbiamo l’impressione di non poter sfuggire all’evento culturale a cui abbiamo deciso di partecipare, di dover rimanere educatamente all’interno dello schema “evento culturale”. Ribadisco però che evento culturale = condivisione: come in altri casi di condivisione, il partecipante può desistere e, qualora la visione di un qualcosa diventi per lui insostenibile, può uscire dal teatro. A fronte di ciò, il 2 marzo, sono uscita da teatro all’intervallo.
Questa non vuol essere una critica alla capacità tecnica di alcuni attori veramente notevoli, come la favolosa Ivana Monti. Nonostante la bravura, gli attori di Doppio Sogno non sembravano efficacemente amalgamati in un ensàmble; tanto da restituire l’effetto di una messinscena troppo spezzettata.
Dal punto di vista tematico, un mancato approfondimento in senso verticale degli avvenimenti, rischiava di proporre al pubblico una trama quasi televisiva, dando rilievo quasi esclusivamente alla dimensione dell’inciucio. Ad accompagnare i momenti “emotivamente forti”, come i monologhi della protagonista, musica e luci azzurrine accentuavano l’atmosfera da soap opera. Altri due aspetti, a mio parere, non abbastanza curati dalla regia di Giancarlo Marinelli sono i passaggi tra una scena e l’altra e le scene corali. Ho avuto l’impressione che i passaggi non fossero sempre funzionali, facendo un po’ tendere gli attori alla passeggiata in scena. Anche per le scene corali, mi è parso si tenesse conto di un’ottica più televisiva che teatrale: ne è un esempio la prima scena di festa, in cui le distanze tra gli attori erano sempre molto ravvicinate, non facilitando la creazione di un’atmosfera.
Un’ultima riflessione. Recitazione teatrale e recitazione televisiva, pur trattandosi di recitazione, sono due linguaggi diversi: non si escludono a vicenda, ma richiedono studi e talenti differenziati, anche se minimamente. Caterina Murino, nonostante la bella presenza e l’impegno attoriale, non è riuscita a mio avviso a raggiungere una credibilità attoriale totalmente efficace, per un palco di teatro.
Critiche e opinioni personali sulla messinscena possono comunque rimanere sullo sfondo, lasciando il primo piano a una reiterata sensazione: quella che il sistema dei grandi teatri, per lo meno nel veneziano, privilegi le figure di famosi attori televisivi, a prescindere dalla proposta scenica, per raccogliere un maggiore e più immediato consenso di pubblico; senza però ricordare e portarsi appresso un’idea ragionata e sentita di cosa possa essere il teatro oggi e cosa possa dire al pubblico del 2016.