di Carlo Goldoni
con (in ordine alfabetico) Alessandro Albertin, Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Stefania Felicioli, Cecilia La Monaca, Michele Maccagno, Maria Grazia Mandruzzato, Margherita Mannino, Giancarlo Previati, Francesco Wolf
regia Giuseppe Emiliani
scenografia Federico Cautero
costumi Stefano Nicolao
disegno luci Enrico Berardi
musiche Massimiliano Forza
arrangiamenti Fabio Valdemarin
produzione Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
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Con “I Rusteghi”, commedia di Carlo Goldoni, in scena al Teatro Metastasio per la regia di Giuseppe Emiliani, si viene trasportati nella Venezia del 1760, durante il suo celebre carnevale. E non è solo il fatto di aver mantenuto fede al testo in veneziano, ai magnifici e colorati costumi e alla dettagliata scenografia, che rappresenta le quattro mura dei Rusteghi entro cui si svolge l’intera commedia e le vite stesse di questi uomini così aspri e severi, spaventati da tutto ciò che può rappresentare anche un minimo divertimento, ma è la bravura con cui gli stessi attori sono stati capaci di incarnare l’ironia dei personaggi, descritti efficacemente dalle battute di Goldoni, attraverso i gesti, le sapienti pause, gli sguardi, talmente reali da avere la sensazione di essere coinvolti nelle vicende familiari e di ritrovarne somiglianze ancora attuali.
Sapiente è il meccanismo di far combaciare, allontanare e poi recuperare i due mondi, così diversi ma vicini, degli uomini e delle donne. Uomini burberi, padroni di sé stessi e degli altri che loro malgrado vengono spiazzati dall’astuzia delle donne, incarnata in siora Felice, che sfoggia con la sua arringa finale, unica arma possibile contro “sta rusteghezza, sto salvadegume”, il colpo che li fa cedere.
Un colpo che arriva dopo un continuo scambio di battute tra mariti e mogli, tra la rusteghezza e la frivolezza delle donne, che in realtà è un’apertura verso il nuovo, verso la società in evoluzione e i rapporti umani vissuti con quella civiltà, auspicata dalle altre donne e di cui siora Felice ne fa la sua bandiera e che i Rusteghi aborriscono perché li obbliga ad un confronto con gli altri.
Ed in fondo dietro ai Rusteghi c’è la paura di mettere in pericolo l’onestà delle loro donne, minacciata dal contatto con l’esterno, rappresentato da una Venezia che manifesta la propria libertà nel dare importanza al teatro e al carnevale. Un’onestà che non può essere corrotta, perché è un valore che appartiene alle loro mogli e non verrà a mancare neanche nella gioia di vivere e nel partecipare a quelle occasioni che la società offre, esprimendo la loro femminilità senza rinunciare alla propria rispettabilità e all’onore dei propri uomini.
Le mura fredde e raffinate della scena, come delle belle prigioni, vengono sconvolte proprio dai magnifici colori indossati dalle donne, facendo mostra della loro testardaggine tutta femminile e in un certo senso salvifica per i due giovani promessi.
Nei gesti degli attori, nei sospiri e nei tremolii si può scorgere l’essenza di un comune sentimento di rabbia, paura, di desiderio di esprimere se stessi in una società che cambia ed entra dirompente nelle vite dei protagonisti. Ed è allora che esplode la commedia in tutta la sua ironia e il suo pizzico di sarcasmo, che proprio nel disordine del carnevale, riporta ordine e gioia, un sentimento spento e annichilito dai quattro Rusteghi. I giovani attori riescono ad incarnare efficacemente quel senso di spaesamento e timore dei due personaggi, Lucietta e Filippetto, in balia di due forze vicine e contrarie, quella degli uomini Lunardo, Simon, Canciano e Maurizio, e quella delle donne Margarita, Marina e Felice.
Una commedia bella da vedere perché al di là della vivacità insita nelle opere di Goldoni, questa viene resa ancora più potente dall’abilità artistica di tutti gli attori, che nei loro diversi ruoli mantengono l’autenticità dell’opera, rendendoci partecipi delle dinamiche caratteriali dei personaggi, che sono il riflesso della nostra umanità.