Entrando in sala si intravede nella scena in penombra una gigantesca poltrona sulla quale è seduta una figura che sciorina sommessamente dei nomi francesi: è Misia Sert, la donna che ha catalizzato la cultura parigina della prima metà del Novecento.
All’accendersi dei riflettori, la signora sembra incorporata nella tappezzeria, grazie al magico disegno delle luci di Pasquale Mari. Inizia a rievocare la sua vita, cattura l’attenzione con una sequenza impressionante di personaggi, eventi, aneddoti, mariti che hanno reso la sua vicenda umana più interessante del soggetto di una fantasiosa sceneggiatura ed hanno anche contrassegnato la vita artistica e sociale del secolo scorso in Europa.
Misia Godebska (famiglia di origine polacca) rimane orfana della madre alla nascita, avvenuta a Pietroburgo nel 1872. Sposa giovanissima il cugino Thadée Natanson, fondatore de La Revue Blanche fucina di artisti, cui seguiranno il ricchissimo uomo d’affari Alfred Edwards e il pittore catalano José Maria Sert. Il secondo l’abbandona per un’altra donna, l’ultimo le impone la convivenza con la scultrice di origine georgiana Isabelle Roussadana Mdivani di cui diviene l’amante, grave umiliazione per la musa di Parigi che aveva il mondo ai suoi piedi.
La sua casa, nel corso dei tre matrimoni, è stata il salotto dell’alta società, frequentata da personaggi che si imponevano nel panorama artistico dell’epoca: Mallarmé, Toulouse-Lautrec, Verlaine, Renoir, Diaghilev, Proust, Debussy, Picasso, Ravel, Jarry, Stravinskij, Satie. Ritratta da Renoir e Toulouse-Lautrec, influenzò Jean Cocteau per il personaggio della principessa nel romanzo “Thomas l’imposteur”, fu definita da Proust “un monumento di storia, collocata nell’asse del gusto francese come l’obelisco di Luxor nell’asse degli Champs Elysées”.
Musa e mecenate, afferma in un passaggio: “Io non partorisco. Io faccio partorire. Gli uomini hanno bisogno di una sfinge per partorire la bellezza, per diventare artisti. Dicono che il mio talento sia saper annusare il talento … dove tutti vedono un nano, io vedo un Toulouse-Lautrec. Sono una cercatrice di geni, una cercatrice di meraviglie umane. Detesto suonare perché amo la musica. Ho imparato sulle ginocchia di Liszt, vecchio, con i capelli lunghi a bacchetta bianchi, come un salice ghiacciato, la faccia a verruche come la corteccia di un albero. Con i miei occhi color malva, ho visto ora dopo ora inevitabilmente Pablo Ruiz trasformarsi nel mostro-toro Picasso, Debussy sui miei divani sognare il sesso del fauno, Cocteau fare la corte agli attori come in Marocco, Stravinskij incendiarsi nella Sagra di Primavera, Ravel ricamare musica a dispetto di Satie, il carnefice di ballerini Diaghilev farsi domatore di Nijinsky fino a far impazzire il dio della danza. E Proust scrivere ogni cosa, ogni parola di tutti, fino a mettermi nella seconda riga della prima pagina della Recherche … Nelle Universtà la chiamano “cultura”… io la chiamo averli a cena da me, a casa”.
Il fil rouge della sua esistenza è stata l’amicizia con mademoiselle Chanel, con la quale vigeva un patto di mutuo soccorso e la promessa che ciascuna avrebbe avuto cura dell’altra al momento della morte. Toccherà a Misia andarsene per prima nel 1950, dopo aver a lungo tentato di annegare i suoi dolori nell’oppio e nella morfina, epilogo di una parabola esistenziale audace e stupefacente, coraggiosa e complessa. Coco Chanel ne curerà la toilette funeraria.
Il monologo è un testo inedito del poeta Vittorio Cielo, liberamente ispirato dalle memorie della Sert, dalle confidenze, ricordi, messaggi, lettere, di Proust, Stravinskij, Diaghilev, Nijinsky, Debussy, Toulouse-Lautrec, Picasso, Ravel, Cocteau, con rumori d’epoca e musiche dedicate, o nate, in casa di Misia.
Lucrezia Lante della Rovere esprime con totale aderenza tutte le sfaccettature della variegata personalità della Sert, muovendosi con sinuosa eleganza nello svolazzante vestito verde disegnato da Alessandro Lai intorno all’imponente poltrona che rappresenta la summa del suo salotto parigino (le scene sono di Gianluca Amodio), guidata dalla regia delicata e vulcanica di Francesco Zecca.
Del suo personaggio l’attrice afferma che “affrontarlo è stato un viaggio interiore in tutti i sensi, essendo Misia una donna piena di sfumature e sovrapposizioni. C’era la tentazione di sentirmi come lei sul palco, mentre la racconto. Fare luce su di lei mi costringe a fare luce su di me”.
Una bella prova d’attrice, per la sezione “La scena alle donne”.