di Valeria Raimondi, Enrico Castellani e Vincenzo Todesco
parole di Enrico Castellani
con Valeria Raimondi e Enrico Castellani
scene: Babilonia Teatri
luci e audio: Babilonia Teatri / Luca Scotton
costumi: Babilonia Teatri / Franca Piccoli
organizzazione Alice Castellani
produzione Babilonia Teatri
in coproduzione con La Nef / Fabrique des Cultures Actuelles Saint-Dié-des-Vosges (France) e MESS International Theater Festival Sarajevo (Bosnia and Herzegovina)
in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione
con il sostegno di Fuori Luogo La Spezia
laboratorio teatrale in collaborazione con l’Associazione ZeroFavole realizzato con il contributo della Fondazione Alta Mane Italia
lo spettacolo è stato scelto da Emma Dante per il 67° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza
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La Sala Assicurazioni Generali del Teatro Rossetti accoglie sul palco il pubblico. Gli spettatori, emozionati, seduti sulle sedie poggiano i piedi sulle tavole del palcoscenico dove da sempre hanno visto muoversi, parlare ed agire gli attori di spettacoli di ogni genere… Ed ora? Cosa succede? Ci si guarda intorno, in alto, con il naso all’insù come bambini a cui si dischiudano le porte di un castello incantato. In fondo si va a teatro per essere sedotti, con tutto il bisogno spasmodico e nascosto di spiritualità repressa da una formale epidermica necessità di “Vivere al meglio nella società senza stare a pensare a tanti inutili fronzoli”, ma quando capita di essere proiettati nel fantastico mondo del teatro, ognuno riscopre nel fondo di se stesso un pizzico di….
Con tutte le luci, le corde e gli attrezzi, spoglio, ma comunque affascinante nel mistero racchiuso fra le quinte, il palcoscenico appare come la balena di Pinocchio, imprevedibile nella sua vastità e pregnante di promesse e desideri evocati.
Le luci si attenuano il buio avvolge tutto e tutti. Poi un faro squarcia l’oscurità e tutto ha inizio.
Scenografia assente, parole incalzanti, asettiche, senza alcun colore e tono, non danno emozione, ma informano. Ricordano a chi lo avesse dimenticato o forse non lo sapesse che
“Jesus è il fidanzato di Madonna, Jesus è un paio di jeans, Jesus gioca nell’inter” ed è solo l’inizio.
Un sacco che penzola dall’alto, all’interno di una corona di luci sul legno (ovviamente ricorda la corona di spine), dondola alla ricerca di un equilibrio che non trova. Tirato e strappato, il sacco aperto, mostra una agnello morto e finto, per fortuna, ma il brivido di disgusto attraversa tangibilmente il pubblico. Il disagio viene ammortizzato da musiche vivaci e molto conosciute mentre un cannoncino spara sul pubblico lanciando figurine di Gesù, con tanto di aureola e bastone e agnello a mo’ di sciarpa.
È questo l’unico coinvolgimento del pubblico. Che acchiappa con le mani le figurine e le conserva per portarle a casa, come reliquie di un rito cristiano-pagano-religioso-ateo, teatrale? Ispirato da Gesù, anzi scritto a quattro mani con Gesù, come ci informa nel suo prologo-monologo l’attrice. Ci si domanda il perché? Perché il pubblico è seduto sul palco? Perché questo spettacolo è inserito nella stagione del Rossetti? Due carriole piene zeppe di patate vengono scaricate al centro della scena, poi viene posizionato anche il forno e l’agnello viene deposto al centro, in mezzo alle patate. Le azioni sono poche le parole tante, anche ambigue, mentre vanno in una direzione all’improvviso cambiano e sembra dicano esattamente il contrario.
Valeria Raimondi parla parla parla, di tanto in tanto canta, poi balla, anzi si muove, anzi si agita…con energia e convinta delle sue gesta.
Un soliloquio che parte dalle domande innocenti di un bambino Ettore (che sembra essere il figlio di Valeria e Enrico, coppia anche nella vita privata). “Perché si muore, mamma?”
È chiara la denuncia di una società che ha dimenticato, offeso, e crudelmente brutalizzato il suo Agnello, ma poi???
Chi parla di novità non ricorda la sperimentazione degli anni Settanta e Ottanta, Le Rassegne “Nuove Tendenze” e la Post-Avanguardia.
Ieri sera ho pensato, senza alcun apparente motivazione al Festival di Sant’Arcangelo di Romagna, ai Magazzini Criminali e al loro spettacolo tanto discusso al Macello Comunale. Ovviamente non vuol esserci e non c’è nessun confronto né tantomeno gara. Solo un inutile ed innocente rimbalzo evocativo della memoria.
Un mistico richiamo all’innocenza della fede autentica, pastorale “Credo nelle chiese di pietra / credo nel mistero / nel dubbio / nel bisogno / nell’invocazione d’aiuto / credo nelle chiese di pietra / credo nei loro affreschi”.
Un buio, l’attrice si toglie il corpetto da torero, indossa una tunica di un bianco immacolato e fosforescente poi di nuovo buio. Il pubblico non coglie il “buio tecnico” e pensa che lo spettacolo sia finito. Timidamente applaude ma il buio continua perché gli attori non sono ancora pronti a “regalarci” l’ultima immagine di due corpi nudi che si abbracciano.
Cinquanta minuti di spettacolo per dire che la verità è nuda e noi siamo nudi di fronte ad essa.
Sicuramente c’è anche altro, ma il tema portante dello spettacolo “Gesù” non è stato approfondito ma soltanto sbandierato ai quattro venti, nelle banali e ricorrenti elucubrazioni da chiacchiere da bar o da parrucchiere… il mondo va così, la società è cattiva, i bambini ci interrogano, i grandi misteri della vita.
Senza approfondimento né teatrale né filosofico il testo enuncia cattivo funzionamento di macchine-esseri umani che forse hanno dimenticato di essere “ umani”. Si può ancora sperare di cambiare? Di migliorare?
Bisogna necessariamente mostrare il male, parlare del male, agire male???
Il teatro dovrebbe anche essere luogo di figure retoriche: metafore, allusioni, sineddoche, perifrasi, sospensioni e tante altre. È una scelta sparare frasi martellanti, lanciare parole come pietre, che potrebbero però rimbalzare su muri di gomma.
La tradizione del Teatro classico, l’impostazione di strutture drammaturgiche, la fluidità delle trame comprensibili da un lato ma anche l’innovazione dei nuovi linguaggi, la sperimentazione di quadri scenici intrecciati con suggestioni visive, traduzioni simboliche destrutturate con contaminazioni popolari, versi poetici sbranati e sbrandellati da parole inventate e “in gergo”: tutto può trovare dimensione ed accoglienza nel Teatro, purché sia motivato ed ispirato dalla passione e dall’urgenza creativa. Ma ad usar le parole di Madame de Stael “Nessuna scintilla di entusiasmo si mescolava al bisogno di sbalordire il genere umano”.
Applausi di cortesia.