di Leonardo Sciascia
regia: Enzo Vetrano, Stefano Randisi
con: Laura Marinoni, Aurelio D’Amore, Aurora Falcone, Angelo Campolo, Giovanni Moschella, Antonio Lo Presti, Alessio Barone
scene e costumi: Mela Dell’Erba
luci: Max Mugnai
produzione: Teatro Biondo Stabile di Palermo, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Associazione Diablogues
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Definita dallo stesso autore “uno sketch”, e raramente rappresentata, a riscoprirla sono ora la coppia di attori e registi palermitani Stefano Randisi e Enzo Vetrano, che hanno proposto la loro versione de “L’onorevole” per lo Stabile di Palermo ed Emilia Romagna Teatro.
Sono solo tre i testi teatrali scritti da Leonardo Sciascia: L’onorevole, I mafiosi e Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D., tutti composti e messi in scena tra il 1965 e il 1970.
L’onorevole scritto nel 1965, nell’Italia del boom economico, è un testo che, partendo dall’immediato secondo dopoguerra, ripercorre quasi un ventennio di storia del nostro Paese per svelare, attraverso una scrittura tagliente ed affilata, la forza del potere che invade, come un morbo, le anime delle persone.
La pièce narra l’ascesa, o il degrado, di una famiglia del sud Italia. Dopo la seconda guerra mondiale la modesta famiglia Frangipane tira a campare grazie ai soldi che ricava dalle ripetizioni che il professor Frangipane impartisce ai giovani del luogo. L’uomo, che si distingue per la sua moralità, cultura e saggezza, viene scelto come candidato per la Democrazia Cristiana, dopo un’iniziale esitazione accetta, convinto dal prete locale. Da quel momento, l’ascesa sociale ed economica va di pari passo alla disgregazione morale, culturale e familiare. L’unica ad accorgersene sarà la moglie Assunta, che, come si vedrà nel finale, mostrerà quanto il potere è forte ed ambiguo.
I tre atti del testo sciasciano vengono condensati in uno. Di atto in atto, attraverso il cambio di scenografia e di costumi, si vede la metamorfosi economica della famiglia che, da poco abbiente diviene molto ricca
Da uno spazio scenico prima piccolo ed angusto, si giunge ad uno più ampio, con cambi a vista effettuati dagli stessi attori, per trasformarsi in ufficio elettorale e infine in grande salone, spoglio negli arredi, come a marcare la mancanza di valore che si contrappone al lusso sfrenato.
La penna di Sciascia ci ha abituato ad una scrittura realista, scevra di retorica; il suo sguardo acuto, lungimirante e impavido non è appieno restituito in questa messa in scena che appiattisce il ficcante testo che Calvino definisce “una satira di moralità civile, la più persuasiva e precisa”. La corruzione, la disgregazione culturale, il disfacimento morale, sono oggi pane quotidiano; lo spettacolo rappresenta una storia in cui si raccontano le prime avvisaglie di un mal costume oggi dirompente e che forse andrebbe portato in scena meno debolmente. La realtà odierna ci impone l’attenzione verso storie così attuali, perché, come dice Sciascia: “L’onorevole Frangipane è democristiano, e la sua corruzione è quella della Sicilia occidentale (…) ma potrebbe anche essere di un altro partito, di più o meno lunga esperienza governativa, e il suo collegio quello di un’ altra regione italiana” o, aggiungerei, di un’altra epoca.