Antonio Piovanelli spende tutte le sue energie e tutta la sua passione incondizionata per impersonare i tormenti di Michelangelo, ormai anziano e solo.
Il sommo artista del Rinascimento italiano ha trasfuso il suo impeto creativo nella pittura e nella scultura, ha consegnato la sua sensibilità e anche fragilità umana alla raccolta di Rime, mentre i suoi strazi e le difficoltà pratiche ed esistenziali sono consegnati alla Lettere, indirizzate alla famiglia, al nipote Leonardo, al cardinale Pio da Carpi responsabile della Fabbrica di San Pietro e a Tommaso de’ Cavalieri, oggetto del suo amore che gli fu accanto anche all’atto della morte.
Il pubblico si accomoda ai lati della lunga pedana sulla quale è collocato un inginocchiatoio, con un uomo anziano avvolto in un mantello immerso in meditazione. Longitudinalmente sono inoltre disposti una panca, un tavolo, una scrivania con fogli e lumini, un soppalco con un letto, una sedia, il modellino della cupola di San Pietro e una delle Prigioni.
Michelangelo si scuote e si erge nel suo vigore di uomo combattivo, ma non ha nulla della figura cinquecentesca che ci ha consegnato l’iconografia. È un contemporaneo, che declama con voce cavernosa e scabra i suoi stati d’animo, le difficoltà economiche, le rivendicazioni di pagamento per i lavori eseguiti, l’affaticamento che gli causavano i progetti giganteschi e i sopralluoghi nelle cave di Carrara per la selezione dei blocchi di marmo; che sfoga le preoccupazioni chiedendo il coinvolgimento della famiglia e del nipote nell’affrontare le sue malattie, che urla il dolore per la perdita degli affetti e la disillusione per i complotti contro di lui nella Curia vaticana; che si difende per le fughe sdegnose da Roma e l’abbandono dei lavori, i rapporti tempestosi col Pontefice, defininendosi vittima di raggiri; che manifesta nei sonetti il proprio amore al giovane Tommaso, che si confronta con Dio e con l’idea della morte, in uno scontro inane tra la genialità artistica e le miserie quotidiane.
Piovanelli è dirompente, percorre la lunga pedana, si sdraia sulla panca e sul letto, si afferra la testa tra le mani, è l’incarnazione dell’umanità dolente dell’artista che si dibatte tra il tormento e l’estasi, geniale e irrequieto, giunto ormai agli ultimi momenti della sua eccezionale vicenda umana e creativa, solo, affaticato, disperato. I ceri si spengono e Piovanelli si pone al leggio, accompagnato dalla musica dei Pink Floyd pronuncia il suo epitaffio: “Dilombato, creato, infranto e rotto”.
Così l’attore racconta il suo approccio al versatile artista: “Michelangelo, un’ossessione che mi insegue da quarant’anni, un amore e una passione per la sua incredibile opera e per tutto quello che ci ha lasciato. Avevo poco più di trent’anni quando scoprii anche la sua poesia e le sue lettere, e tanto mi entusiasmarono che decisi di farne un monologo. Il mio sogno era quello di farne uno spettacolo povero da portare in qualsiasi ambito – scuola, case del popolo, gallerie d’arte, cantine – alla portata di tutti, e lì l’attore solo col suo corpo e la parola. Adattando le Rime e le Lettere cercai di far emergere l’uomo. Ci misi dentro un po’ della mia vita”.
Il regista Giacomo Andrico aggiunge: “È possibile trovare, ancora oggi, nelle sue forme tanto del “divino” che abita la terra? È possibile, proprio attraverso l’incontro con la vita, le parole, le fatiche, i dolori, l’intelligenza di un artista inarrivabile spesso in lotta col potere, e con se stesso, forse l’uomo più vicino agli dei che l’umanità tutta, ha potuto e potrà sempre godere come atto di bellezza inspiegabile”.
Lo spettacolo è inserito nel segmento “Arte in scena” che propone i grandi protagonisti dell’arte.