Autrice: Carlotta Corradi
Attori: Alex Cendron e Alessandro Riceci
Regia: Veronica Cruciani
Scene e costumi: Barbara Bessi
Musiche: Paolo Coletta
Disegno luci: Gianni Staropoli
Assistente alla regia: Tullia Raspini
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Carlotta Corradi, classe 1980, è una delle ultime leve della generazione di drammaturghi italiani del nuovo millennio che si contraddistingue per l’utilizzo, nella composizione del testo, di scrittura drammaturgica e scrittura di scena. In Peli l’autrice, da sempre attenta alle tematiche femminili, si concentra sulla vicenda di due donne di mezz’età, Melania e Rossella, che hanno seppellito il loro antico rapporto di amicizia sotto una coltre di finzioni e sotterfugi. I “peli” del titolo, diventano infatti, insieme ad altri fatti più o meno incoffessabili e “volgari”, il simbolo dell’ipocrisia della loro relazione, il termine sconveniente che Rossella non vorrebbe sentir nominare perché allude alla “indecente” e scomoda verità da occultare ma che Melania fa progressivamente emergere. L’esito di questo serrato confronto in cui le due donne mettono in gioco la loro ricca sensibilità è un sostanziale recupero dell’autenticità del loro rapporto, seppur a prezzo di dure rivelazioni come quelle dell’adulterio di Rossella col defunto marito di Melania, Neri, o dei ricatti psicologici di Rossella nei confronti del figlio gay, Leonardo. Nel frattempo le due amiche hanno messo a nudo, oltre alle anime, anche i loro corpi mostrandone i peli. Ed eccoci di nuovo alla “scrittura di scena” citata poc’anzi, dal momento che l’autrice ha prescritto in didascalia che debbano essere due uomini a rappresentare i personaggi di Melania e Rossella che comunque “restano due anime femminili dall’inizio alla fine”. Questa incompiutezza del testo drammatico rende l’operazione spettacolare di carattere sperimentale perché rilancia il confronto tra mondo femminile e maschile sul piano della rappresentazione, e in particolar modo di quello dell’interpretazione attoriale; della comprensione e condivisione da parte dell’attore-uomo di quell’universo femminile che viene così a perdere la sua esclusività e il cui punto di vista si relativizza, o meglio, si declina al maschile. Il tal modo le differenze e le distanze tra le due culture non si annullano ma trovano un terreno di confronto e forse di integrazione. Quando alla fine vediamo sulla scena due uomini nudi (in mutande per la precisione) che spogliatisi di ogni orpello formale e di ogni remora si urlano in faccia la verità ed effondono i loro patimenti confortandosi reciprocamente (per cui come recita la didascalia “Rossella e Melania sono spossate come alla fine di un atto sessuale”), ci rendiamo conto che quella delle due donne è la storia di due creature umane il cui vissuto è diventato patrimonio comune.
La regia di Veronica Cruciani si è messa al servizio del testo ricalcandone lo stile “minimalista”, asciutto ed essenziale, sforzandosi con pochi interventi sostanziali, di far emergere la verità intima dei personaggi. Dall’elegante e apparentemente spensierato rituale borghese della partita a Burraco del giovedì si giunge così, attraverso improvvise rotture d’atmosfera (il ballo sempre più scomposto di Rossella o i piedi sul tavolo di Melania), sottolineate da luci calde e scure che aumentano il senso della premonizione e della minaccia, alla catarsi finale in cui la lotta fisica mette a soqquadro i pochi elementi di scena ordinatamente presentati all’inizio (un tavolo, due sedie e un carrellino su cui è posto l’immancabile servizio con teiera, tazzine e tè earl grey). La recitazione segue un ritmo alternato tra pause riflessive e repentine accelerazioni con secchi botta e risposta, per restituire la tensione soggiacente alla palpitante schermaglia tra le due donne fatta di gentilezze, provocazioni, confessioni, rimostranze. Un contributo non marginale hanno dato a questo andamento le musiche di Paolo Coletta costituite principalmente da un semplice tema di due note, scandito a mo’ di campanello e reiterato per brevi sequenze nel corso dello spettacolo, a rendere dapprima il carattere illusoriamente festoso del ritrovo pomeridiano delle due signore bene e in seguito il calore della condivisione intima associata all’inesorabilità dell’esplorazione del proprio animo.
Gli attori si sono inseriti in questo percorso facendo progressivamente emergere in modo credibile il sottotesto del vissuto reale dei personaggi. Alex Cendron ha reso al meglio il passaggio dal piglio deciso all’umanità sofferente di Melania, vedova bisognosa di affetto e sostegno, amica tradita ma pronta al perdono. Con delicatezza e intensità ha saputo esprimere il dolore per la scomparsa del marito, gli slanci affettivi verso Rossella, la franca disponibilità a consolarla. Dal canto suo Alessandro Riceci ha reso efficacemente la rigidità affettata e l’isolamento autorepressivo di Rossella fino alla finale confessione liberatoria della sua pena più autentica, quella per l’omosessualità del figlio Leonardo e per la propria incapacità ad accettarla.