Melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave
Personaggi e interpreti:
Il Duca di Mantova: Raffaele Abete
Rigoletto: Federico Longhi
Gilda: Mihaela Marcu
Sparafucile: Gianluca Breda
Maddalena: Clarissa Leonardi
Giovanna: Alice Marini
Il Conte di Monterone: Alessio Verna
Marullo: Tommaso Barea
Matteo Borsa: Antonello Ceron
Il Conte di Ceprano: Romano Dal Zovo
La Contessa di Ceprano: Francesca Martini
Usciere di Corte: Dario Giorgelè
Direttore: Fabrizio Maria Carminati
Regia e Coordinamento costumi: Arnaud Bernard
Scene: Alessandro Camera
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del Coro: Vito Lombardi
Direttore allestimenti scenici: Giuseppe De Filippi Venezia
Allestimento Fondazione Arena di Verona
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Un’enorme sala circolare che somiglia ad un teatro anatomico, sovrastata da un’incombente e cupa biblioteca, dove il Duca di Mantova misura con un goniometro la gobba deforme del protagonista, circondato da cortigiani che somigliano a dei biechi aguzzini. Si apre così, sulle note del preludio scritto nel 1851 da Giuseppe Verdi, questo Rigoletto veronese, alla sua ultima rappresentazione in un teatro Filarmonico gremito di pubblico.
Arnaud Bernard ha costruito un’opera cupa, dalle tinte fosche, dove le scene di Alessandro Camera, ispirate al celebre dipinto rinascimentale La città ideale (esposto nella Galleria Nazionale delle Marche a Urbino) sembrano essere inghiottite da un’inquietante oscurità che, a onor del vero, non aderisce perfettamente al libretto di Francesco Maria Piave.
Una città ideale infettata e pervasa dalla dissolutezza della corte mantovana, forse a voler mettere in evidenza la dicotomia tra quella bellezza utopica, immaginifica, e le umane pulsioni dei protagonisti della vicenda, vinti dalla lussuria, dall’odio e dalla sete di vendetta.
Questa idea, seppur molto interessante e ricca di riferimenti al rinascimento italiano che ben possono essere ricondotti all’ambientazione della tragedia, non riesce però a svilupparsi in modo compiuto e appiattisce – soprattutto nel secondo e terzo atto – la rappresentazione su una grigia monotonia, senza davvero rendere giustizia al dramma, smorzando completamente il romanticismo tragico di Verdi su un asettico esercizio di stile.
Nell’ultimo quadro, dove la tragedia giunge al culmine, il palco viene avvolto da uno spesso strato di fumo, tanto che i cantanti spariscono quasi completamente, illuminati solo a tratti da da lampi stroboscopici che davvero non sono sufficienti a creare il pathos che musica e libretto meriterebbero.
Ad onor del vero, però, bisogna dire che questa regia improba non è stata aiutata dalla conduzione di Fabrizio Maria Carminati. Una direzione da linea piatta, del tutto scoordinata rispetto ai cantanti, come se buca e palcoscenico andassero spesso su due binari differenti. Il culmine di questa disconnessione si è avuto durante il quartetto del terzo atto, dove cantanti e orchestra non hanno saputo mantenere la ben che minima armonia, quasi stessero cantando e suonando spartiti diversi.
Mihaela Marcu, nel ruolo di Gilda, esagera decisamente con il vibrato, rendendo la tessitura del canto un’amalgama piatta nella quale affogano gli evidenti problemi di dizione, al limite dell’imbarazzo.
Raffaele Abete, nel ruolo del duca di Mantova, durante il primo atto deve essersi dimenticato di cantare in voce, tanto che non lo si è sentito proprio, quasi coperto completamente dall’orchestra. Fortunatamente nel secondo atto ha ricordato di possedere un diaframma, peccando però nell’espressività e faticando non poco a rendere giustizia al personaggio.
Federico Longhi nel ruolo di Rigoletto è decisamente più a suo agio rispetto ai colleghi, anche se ha qualche difficoltà con i registri più bassi, la sua è un’interpretazione nel complesso buona, anche se non degna di memoria.
Senza infamia e senza lode anche il resto del cast: Alice Marini nel ruolo di Giovanna, Gianluca Breda nel ruolo di Sparafucile, Clarissa Leonardi nel ruolo di Maddalena e Tommaso Mareo nel ruolo di Marullo.
Alla fine di ogni atto i cantanti escono dalla scena per accogliere gli applausi del pubblico, concedendo anche un bis (a dire il vero non richiesto) alla fine del secondo atto. Vogliamo pensare che gli applausi della platea e dei palchi fossero rivolti in segno di solidarietà ai lavoratori della Fondazione Arena, visto il momento di grave difficoltà nel quale versa una delle istituzioni più importanti della città scaligera, e non ai protagonisti di questo Rigoletto decisamente da dimenticare.