di Anthony Burgess
Personaggi e Interpreti:
Daniele Russo (Alex)
Sebastiano Gavasso (Dim)
Alessio Piazza (Georgie)
Alfredo Angelici (Barbone, Dott Brodsky, padre Alex)
Martina Galletta (Moglie Alexander, Adolf, Joe)
Paola Sambo (Deltoid, ministro, madre Alex)
Bruno Tramice (Alexander, anziana signora, cappellano)
Scene Roberto Crea
Costumi Chiara Aversano
Disegno luci Salvatore Palladino
Musiche Morgan
Regia Gabriele Russo
Musiche originali Morgan
Scene/installazioni Roberto Crea
Costumi Chiara Aversano
Disegno luci Salvatore Palladino
Produzione TEATRO BELLINI /FONDAZIONE TEATRO DI NAPOLI
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Non si tratta di un adattamento qualsiasi del romanzo (titolo originale A Clockwork Orange/Un’arancia a orologeria) consegnato alle stampe nel 1962 o del celebre film che nel ’71 ne ricavò Stanley Kubrick, ma del vero e proprio testo teatrale che, a partire dal suo libro, Burgess scrisse nel ’90 per la Royal Shakespeare Company.
Fugando paragoni improponibili, Gabriele Russo si allontana dalle suggestioni kubrickiane, consegnate alla notorietà universale ed alla storia del cinema, per “ritrovare intatta – sottolinea il regista – quella necessità di Burgess nel proporre argomenti dai toni forti, capaci di scuotere le coscienze e suscitare domande legittime sulle possibilità di reagire, nel nostro tempo, alla violenza, gratuita o scientemente programmata”.
Recenti fatti di cronaca, nera ed italiana, collegano immediatamente i protagonisti dell’opera al nostro presente, suscitando emozioni e reazioni contrastanti. A distanza di oltre cinquant’anni dalla sua stesura, ci si rende conto di quanto l’autore avesse saputo guardare oltre il suo tempo presagendo, attraverso la storia violenta di Alex (Daniele Russo) e dei suoi amici Drughi (Sebastiano Gavasso e Alessio Piazza) una società sempre più incline al controllo delle coscienze e all’indottrinamento verso un “pensiero unico”: crudele epilogo cui viene destinato il protagonista, sottoposto alla castrazione chimica ed al condizionamento psicologico.
Nella prima parte l’azione, ambientata in un futuro non lontano e in una qualsiasi possibile grande città, descrive i crimini di Alex e della sua banda di giovani teppisti. Nella seconda parte lo spietato e incosciente protagonista, condannato a 14 anni per omicidio, accetta di sottoporsi a un esperimento di pseudo riabilitazione in base al quale gli vengono instillate reazioni di insormontabile disgusto fisico ogniqualvolta sorgano in lui stimoli di violenza o anche solo di libidini, annullando completamente il suo libero arbitrio.
“A proposito di Alex – aggiunge Gabriele Russo – Burgess stesso lo definiva malvagio, a un livello forse inconcepibile sottolineando il fatto che azioni come le sue, in una società organizzata in modo corretto, dovessero essere punite, ma, allo stesso tempo, indicava la cattiveria quale componente umana, potenzialmente presente in ciascuno di noi e, dunque, invitava a riflettere con attenzione sulle modalità e sugli esiti di dette punizioni”.
Nello spettacolo, come nel libro e nel film, Alex viene trasformato “meccanicamente” da individuo asociale e pericoloso in un automa che vomita al solo comparire di un pensiero scorretto. “La violenza delle sequenze del racconto – aggiunge Gabriele Russo – però qui si stempera nei segni, e la narrazione si completa nelle immagini e nei suoni, rendendo le affascinanti scene/installazioni di Roberto Crea e le musiche originali di Morgan, nella sua straordinaria rilettura in rock di Beethoven, parte significativa dell’azione scenica”.
In scena, a ricoprire i molteplici ruoli del testo, una compagnia di sette bravissimi attori di diverse generazioni: Daniele Russo, Sebastiano Gavasso, Alessio Piazza, Alfredo Angelici, Martina Galletta, Paola Sambo, Bruno Tramice.
Le scene sono di Roberto Crea, le musiche originali di Morgan, i costumi di Chiara Aversano, il disegno luci di Salvatore Palladino, la regia di Gabriele Russo.
Salutato da un grande successo al debutto a Napoli nella passata stagione, lo spettacolo è adesso proposto a Milano fino al 24, ed ancora a Roma, al Teatro Eliseo, dal 26 aprile al 15 maggio.
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Note di regia
Arancia meccanica rappresenta uno dei romanzi distopici meglio rappresentativi nel suo genere, non meno visionario e lungimirante di un altro classico come 1984 di Orwell, con cui, in modo non casuale, esistono diverse convergenze. A distanza di 54 anni dalla prima pubblicazione del romanzo ci si rende conto di quanto Burgess avesse saputo guardare anche oltre il suo tempo, presagendo, attraverso la storia di Alex e dei suoi amici Drughi, una società sempre più incline al controllo delle coscienze ed all’indottrinamento di un “pensiero unico”. Se negli anni ‘60 quei temi stavano appena cominciando a diventare materia di argomento e riflessione oggi siamo tutti molto più consapevoli del tentativo di controllo delle coscienze a cui noi tutti siamo sottoposti. L’opera ha favorito delle domande, la libertà di scelta è davvero così importante? E a questo proposito, l’uomo è davvero capace di scegliere? E ancora: la parola “libertà” significa qualcosa di preciso? E, in particolare, è meglio essere malvagi per propria scelta o essere retti ed onesti grazie ad un lavaggio scientifico del cervello?
Il film di Kubrick del 1971, ha saputo tradurre perfettamente il mondo descritto da Burgess, facendo della versione cinematografica di Arancia Meccanica un caposaldo della cinematografia di tutti i tempi. Un film che ha lasciato un segno tale da scoraggiare l’idea di una messinscena.
Tuttavia, quando ho letto l’adattamento che lo stesso Burgess ha elaborato a suo tempo per il teatro, sono rimasto sorpreso e coinvolto dalla sua completa autonomia drammaturgica.
Nella prima parte al linguaggio originale e caratterizzante dei Drughi, si alternano canzoni in versi corredate di libretto e spartito scritto dallo stesso Burgess, aspetto che almeno nella struttura se non nel contenuto mi ha fatto pensare ad un testo brechtiano.
Trovando nella parte musicale uno degli elementi distintivi dell’opera, è stato naturale pensare ad un musicista fuori dagli schemi, prorompente e originale, un musicista che in qualche modo somigliasse ad Arancia Meccanica, Marco Castoldi in arte Morgan.
Così come nel romanzo la storia viene raccontata in prima persona da Alex, il capo carismatico dei Drughi, nella messinscena tutto sarà vissuto come se ci trovassimo in un suo incubo.
Ragion per cui, visioni, musiche, ritmo saranno scanditi dal sentire del protagonista.
La scena sarà una scatola nera al cui interno si materializzeranno le visioni di Alex, installazioni di arte contemporanea che si autodistruggeranno nella scena successiva. Un mondo rarefatto e onirico in cui però avvengono cose reali. In cui ad una causa corrisponde sempre un effetto.
In tal senso sarà interessante indagare e chiedersi quanto sia possibile l’idea del male assoluto, del male come fine a se stesso, come puro godimento. Non a caso lo stesso Burgess descrivendo Alex lo paragona a Riccardo III. Questo sta a significare che non ci sono cause reali a giustificare la violenza perpetrata da Alex, e Kubrick stesso ha scelto questa strada.
I costumi dei Drughi non guarderanno ad un possibile futuro, ma saranno più vicini all’immagine ed i simboli dei ragazzi di oggi, così da cercare un rapporto empatico più immediato ed inquietante con lo spettatore.
Con Tommaso Spinelli abbiamo curato la tradizione del testo rimanendo fedeli il più possibile alle originarie intenzioni di Burgess.
Il lavoro più duro ha riguardato la trasposizione del linguaggio dei Drughi, il Nadsat inventato dallo stesso autore, uno slang inglese con influenze russe.
Per non perdere lo straniamento oltre che la violenza che questa parlata ha il potere di trasmettere, abbiamo lavorato sui singoli termini con attenzione scrupolosa, in qualche caso confrontandoci con la generazione dei nostri 18enni avvezza all’utilizzo di un linguaggio che crei identità.
La sottile linea di confine fra bene e male, il rapporto fra vittima e carnefice, la connessione fra la violenza del singolo individuo e quella della società saranno i temi che metterò in evidenza.
Gabriele Russo
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Le musiche
Arancia Meccanica è un testo bellissimo, con una sceneggiatura appassionante soprattutto per il linguaggio che utilizza, un linguaggio particolare, moderno.
E Beethoven per Arancia Meccanica è fondamentale! Io ho sempre amato la deformazione della musica classica e “mettere le mani” nella musica classica è esattamente come mettere le mani nei testi classici. Ludovico Van, rispetto a quello che rappresenta il protagonista Alex, simboleggia la forza e la dirompenza della violenza sonora!
L’idea che tutto avvenga attraverso la testa di Alex per me è stato fondamentale ai fini della realizzazione dei brani: le mie musiche iniziano riferendosi all’originale, per poi man mano deformarsi: trascendono e degenerano proprio perché stanno nella testa di Alex; quello che Alex ascolta non è Beethoven, è la sua idea deformata di Beethoven, è il suo delirio di Beethoven. E’ questa deformazione musicale che mi ha interessato e sulla quale ho lavorato. Credo che tutto ciò che è nella mente, nel “planetario”, di Alex sia giusto, è il modo di metterlo in pratica, attraverso la violenza, che è sbagliato! Paradossalmente il canale della creatività, che si attua mettendo in scena un’opera come questa, è la strada giusta per trasmettere alla società di oggi un messaggio di non-violenza!
Morgan
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Le scene
La quotidiana “ultraviolenza” ha i suoi chiaroscuri, le sue contraddizioni, i suoi risvolti inaspettati e improvvisi, ma il suo meccanico o strategico esercizio, sia esso scatenato dallo scrigno di un televisore o dal bastone di un “drugo”, infetta chiunque e non risparmia nessuno, nemmeno la musica. La violenza trasfigura ogni cosa, crea ossimori e sinestesie, rende il mondo abbacinato e cupo allo stesso tempo, traspira mistiche ossessioni e laiche inappagate libidini, galleggia nello squilibrio, rovescia la realtà, come un bicchiere di “lattepiù” al “Korova Milk Bar”, accende nei suoi “drughi” bevitori. La lobotomia psicologica che ne consegue è, ormai, collettiva, composita, estetizzante, essa riguarda un’intera umanità disperata e sola.
Roberto Crea
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I costumi
In un presente ibrido ed infetto, il rigore composto di una gioventù repressa da uno Stato cieco e totalitario. La ribellione diventa rabbia, l’ultraviolenza prende il sopravvento diventando una festa in cui poter sfoggiare impeccabili smoking sartoriali, alternati alla pelliccia intesa come elemento primitivo, feroce ed assoluto.
Ad una gioventù persa nella sua primitiva incoscienza si contrappone un mondo di figure grottesche e polverose, un ricordo sgualcito di fredde metropoli nordiche dei regimi totalitari. Lo Stato cinico, cieco si nasconde dietro cupe lenti nere che diventano un muro invalicabile e minaccioso. Un mondo opaco che viene squarciato da lampi di giallo che irrompe folle, violento e pericoloso come l’urlo disperato di chi è perso in un mondo meccanico.
Chiara Aversano
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Il teaser
https://www.youtube.com/watch?v=FvG7O6DECpE
Durata: 1h e 35’ senza intervallo
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TEATRO ELISEO
Da martedì 26 aprile a domenica 15 maggio 2016
Orario spettacoli: martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00 – mercoledì e domenica ore 16.00
Biglietteria tel. 06.83510216 |Giorni e orari: da martedì a domenica 9.30 – 19.30
Biglietteria on-line www.teatroeliseo.com e www.vivaticket.it
Call center Vivaticket: 892234
Prezzi da 12 € a 34 €