Giuseppe Argirò rinnova il sodalizio con Giuseppe Pambieri affrontando il mondo di Pirandello, dopo l’Infinito Giacomo su Leopardi. La scrittura drammaturgica, di cui Argirò, firma anche la regia, rivela aspetti inediti che hanno segnato lo sviluppo giovanile e l’approccio alla vita dell’autore di Girgenti.
Nato in contrada Caos mentre il padre a Palermo si curava dal colera, cresce nella sua assenza e nella disattenzione della madre, affidato alle cure della governante Maria Stella, la “cammarera” che ne plasma la fluida percezione con una visione magica e arcana della donna, nutrendone l’immaginazione religiosa, avviandolo alla vita e fornendogli i primi rudimenti sessuali: “Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’olivi saraceni affacciata agli orli d’un altipiano d’argille azzurre sul mare africano”.
La figura del padre, che aveva partecipato ad alcune campagne garibaldine, è incombente, collerica e dispotica per un ragazzo gracile come Luigino, il cui precettore sostiene che il “caruso” non è portato per lo studio e la scrittura (anche quello di Leopardi non ne aveva intuito il talento!). Curioso della vita, vive i primi innamoramenti a 14 anni, in vacanza.
La poliedrica personalità, carica di chiaroscuri e ambiguità, viene illustrata, oltre che dalle note biografiche, dall’innesto di brani delle opere, riflesso delle esperienze personali nei tumultuosi anni giovanili, dell’immaginario erotico ossessivo e di un’indole tormentata e complessa. In questi passaggi, la drammatizzazione voluta dalla regia fa allontanare Pambieri dal leggio, ponendolo al centro della scena dove diventa, con camaleontici cambi di registro, i centomila protagonisti dei monologhi tratti da “Non si sa come”, “Sei personaggi in cerca d’autore”,”Il fu Mattia Pascal”, “L’uomo dal fiore in bocca”, “I giganti della montagna”.
Trasferitosi a Bonn dopo un conflitto con un professore dell’università di Roma, si innamora di una ragazza di cui parla nelle raccolte poetiche.
La scoperta della relazione del padre con la cugina che, incinta, viene fatta sposare per evitare lo scandalo, gli provoca un turbamento che culmina, alcuni anni dopo, nell’incontro mercenario tra il genitore e la giovane figlia della donna che nel retro di una sartoria si concede agli uomini. Tanta ambiguità nel rapporto padre/figlia trova compimento nell’assemblamento delle battute del padre dei Sei personaggi.
Da “Non si sa come” è tratto l’episodio della mortale colluttazione del protagonista con un ragazzo dopo averlo visto sbattere contro un sasso una lucertola, che contiene i prodromi di un’eterna solitudine. Quando si allontana privo di sensi di colpa, sembra che il tempo sia sospeso e la realtà si sia mischiata alla fantasia, nell’immobilità della campagna illuminata dalla luna.
Nonostante la predilezione per le figure femminili, centrali nella drammaturgia pirandelliana, in questo racconto scenico scritto appositamente per l’istrionico Pambieri, sono evidenziati i ruoli maschili, emblematici per attraversarne tutta la tematica, che è sempre d’attualità, sostiene Argirò, poiché legata al tema della comunicazione (comunicabilità e incomunicabilità) e dell’immagine che il mondo si crea di noi.
Il lacerante e destabilizzante rapporto con la moglie, sposata per interesse e della quale subisce le dispotiche follie, lo rende acquiescente prigioniero, sempre ossessionato dalla sua presenza.
La regia affronta con lieve ironia la messa in scena, guardando con distacco al dramma anche quando si affronta la morte come ne “L’uomo dal fiore in bocca”, per virare verso la poesia e una visione pseudo-religiosa nel discorso di Cotrone ne “I giganti della montagna”.
Dopo questa prima nazionale, il lavoro andrà in tour in Sicilia, a Segesta per vedere le luci dell’alba, a Tindari e altre località.