Non una commedia all’acqua di rosa come può parere di primo acchito, ma un lavoro che offre diversi piani lettura Ciò che vide il maggiordomo (titolo originale What the Butler Saw), opera di Joe Orton (John Kingsley Orton, Leicester 1933 – Islington 1967) – drammaturgo inglese attivo dal 1964 alla sua prematura scomparsa assassinato dal compagno (l’attore e scrittore Kenneth Halliwell: 1926-1967) – messa in scena dal regista Marco Vaccari con un gruppo di bravi attori.
Si tratta di una commedia, scritta poco prima della scomparsa dell’autore e rappresentata solo nel 1969, connotata da un umorismo tipicamente britannico a cominciare dal titolo con riferimenti alla politica e a problematiche e temi scottanti nella prima meta degli anni ’60 e per di più incentrata sui temi della follia che viene portata al parossismo e della sessualità vissuta anch’essa in modo esasperato con disturbi al limite della patologia.
Non bisogna dimenticare che Joe Orton anche a causa di problemi di salute non ha compiuto un corso regolare di studi mentre da un certo punto in poi cerca di sopperire alle carenze mostrando intelligenza e sensibilità. Si avvicina al teatro frequentando scuole di prestigio e dal 1960 inizia a scrivere opere teatrali.
La storia è ambientata in un ospedale psichiatrico il cui primario che ha rinunciato a espletare i propri doveri coniugali con una moglie ninfomane confonde allegramente lavoro e avventure, ma l’arrivo improvviso della legittima consorte dà il là a una serie di bugie, equivoci, travestimenti, scambi di persone… suggerendo il razionale monito mai abbastanza seguito che una sana verità val più di infinite menzogne che in poco tempo riescono a trasformarsi in un ciclone da cui solo la fortuna può salvare il malcapitato impostore.
Tra le righe di questo lavoro dai toni forti – tipico dello stile di Orton che si diverte a scuotere il pubblico con le sue commedia nere – si legge una satira nei confronti di una medicina spocchiosa, sapiente e prepotente, di una forza pubblica ignorante e impreparata, di una sessualità superficiale e non consapevole e di una società ipocrita che colpevolizza azioni non così deplorevoli, lasciando irrisolti e impuniti quando non li enfatizza come segni positivi atteggiamenti gravissimi che ledono non solo la serenità dei singoli, ma rodono come tarli l’apparente perbenismo di facciata.
Una commedia importante in cui basta poco per uscire dai limiti facendo perdere i significati sottesi e Marco Vaccari – appoggiato da attori molto professionali e ben coesi – ha compiuto al riguardo un ottimo lavoro cercando di muovere al riso il pubblico anche se non è per tutti facile cogliere solo il lato comico di certe situazioni che hanno anche il sapore del dolore, della solitudine quando non del dramma propri della ‘normalità’ quotidianità.
Molto simpatica e incisiva la scenografia con un enorme camicione-tenda allusivo alla camicia di forza con cui si risolvevano tutti i problemi nella psichiatria del passato…