presentato da La compagnia ricci/forte
con Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Piersten Leirom, Gabriel Da Costa
drammaturgia ricci/forte
movimenti Marco Angelilli
elementi scenici Francesco Ghisu
costumi Gianluca Falaschi
suono Thomas Giorgi
direzione tecnica Davide Confetto
assistente regia Liliana Laera
regia Stefano Ricci
una produzione Romaeuropa Festival e Snaporazverein
in co-produzione con Théâtre MC93 Bobigny/Festival Standard Ideal, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Festival delle Colline Torinesi
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Seduti in platea, in attesa dell’inizio dello spettacolo leggiamo le note di presentazione.
“Spero non ci siano bambini in sala. Ho visto un video con delle immagini…” – “Perché? Ci sono scene crude? Violente?” “Anche di più”
“Darling – scrivono gli autori – il primo balbettio nella nuova polis. Darling, l’alfabetizzazione di un sentimento. Darling, il perimetro di un terreno emotivo da arare. Darling, il singulto ctonio della tragedia eschilea. Darling, lo tsunami che cancella l’ordine delle cose ripristinando il culto orfico dei morti. Darling, un container in cui immagazzinare simboli e sensi, umani e divini, che riesplodono in attesa del prossimo imbarco. In un aeroporto della mente, valvola liminale ancora attiva, l’accampamento profughi dopo la grande onda ripercorre i brividi di un passato attraverso le impronte lasciate sulle cose strappate all’acqua. Senza domicilio etico, attendiamo la fiamma come scolte in attesa del ritorno del padre guerriero.”
In scena un enorme container, collegato con catene e carrucole che scendono dall’alto.
Un fremito di disagio attraversa il pubblico, che non sa cosa aspettarsi, ma ha già capito che non è il solito spettacolo divertente o drammatico, ma comunque rassicurante.
Qui, stasera, non c’è nulla di prevedibile né di scontato. L’incertezza del non poter controllare né comprendere facilmente quanto sta per accadere è uno strisciante senso di disagio che serpeggia fra le poltrone.
Buio in sala. La “Cerimonia” ha inizio, molto lentamente.
Un attore entra in scena, avvolto da una coperta e non fa assolutamente nulla. Guarda la platea, lo sguardo fisso, in silenzio. Arriva un secondo attore e poi un terzo. Guardano intensamente il pubblico che non è più un corpo unico, ma scisso in persone singole. Ciascuno è chiamato individualmente a dare la propria attenzione. Il rumore aumenta e disturba: suoni indistinti, forse strepiti di gabbiani, o gallinacei. Succede qualcosa. Dalla coperta esce una mano, un braccio… è la testa, il becco di un pupazzo…che si muove e parlotta all’orecchio dell’attore. Il secondo ripete ed anche il terzo. Si muovono sulla scena poi si bloccano ed ancora guardano il pubblico.
Inizio indefinito. Aspettiamo che accada qualcosa.
Un volto con una maschera strappata appare sopra al container, in alto. Una parrucca enorme bianca, spettrale si muove e diventa più alta. È una donna che si erge in piedi vestita di nero. Un costume settecentesco ampio e lugubre. È una bellissima immagine. L’impatto visivo però è squarciato dalle parole che escono con sofferenza e dolore da quel corpo che si contorce tutto nel tentativo di pronunciare sillabe incomprensibili che diventano faticosamente parole e poi frasi.
E poi dalla placenta oscura del container esce di tutto. Accade di tutto. Si apre una finestra e i due pupazzi parlano fra loro, in varie lingue, dal francese all’inglese, forse tedesco (siamo in Europa) mentre le frasi in italiano vengono proiettate sulla parete metallica. Oreste confida alla sorella Elettra il suo desiderio di uccidere la madre Clitemnestra ed il suo amante Egisto per vendicare l’omicidio del padre, il re Agamennone.
Tre attori ed una attrice per vivere sulla scena una drammatica confessione d’Amore per il teatro. Entrano e spariscono nel container. Si intuisce la violenza, da cui cercano di fuggire, ma sono irrimediabilmente condannati. Movimenti frenetici che si susseguono incessanti. Urla. Corpi che sbucano da aperture improvvise, ghermiti da altri corpi che compiono giustizia o forse solo vendetta…
Un altro protagonista assoluto è il container, che non funge solo da scenografia, ma contribuisce alla creazione di suggestioni e mirabolanti esercizi di bravura atletica. Corpi stupendi nella loro crudezza e libertà piena ed assoluta di movimenti. Nudità niente affatto scontata e banale.
In fondo tutti siamo nati nudi e solo una società putrefatta e colpevole ci ha ricoperto di vestiti, eleganti paludamenti e metafore di coscienze opache.
Gli attori sono anche tecnici, smontano e spostano le assi metalliche, acciuffano catene e trasportano tubi. Una gran quantità di vasi bianchi pronti per la semina con gli attrezzi da giardinaggio invitano ad aprire uno spiraglio di natura salvifica, ma forse è solo un’illusione. Il canto che il cigno regala al mondo prima di morire.
È un gioco al massacro, ma pur sempre un gioco…. Teatrale? Chi può dire cos’è il Teatro?
Qualcuno è andato via poco dopo l’inizio, qualcun altro a metà spettacolo, ma in fondo solo in pochi si sono realmente scandalizzati.
Tutti sono rimasti colpiti dalla forza interpretativa (gli attori sono davvero molto molto bravi), dalle suggestioni scenografiche, dall’energia dei simboli, dalla creatività delle soluzioni, dalla continua sorpresa drammaturgica e scenica, dalla naturalezza e dalla giocosità dei corpi nudi e gli applausi sono stati convinti.
Non tutti hanno capito tutto, ma d’altronde come dinanzi ad una quadro astratto ciò che conta è la percezione visiva ed emotiva che lascia…
Sicuramente il Teatro può ancora sperimentare tanto…