Autori: Eliana Cantone e Giordano V. Amato
Attrice: Eliana Cantone
Musiche: Elisa Fighera
Regia: Eliana Cantone
Scenografia: Claudio Albano
Light designer: Federico Merula
Collaborazione artistica: Alessandra Rossi Ghiglione
Consulenza alla metagenealogia: Alejandro Jodorowsky
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La Rassegna FrescoteatroSocialConcordia 2015-2016, organizzata da EtaBetaTeatro e dall’Arlecchino errante-Scuola Sperimentale dell’Attore si è chiusa con lo spettacolo di Eliana Cantone Del mondo che amo presentato in concomitanza con le iniziative promosse dalla Fondazione Bambini e Autismo di Pordenone in occasione della Giornata mondiale dell’autismo del 2 aprile. Lo spettacolo, che ha debuttato nel 2013, è frutto del pluriennale lavoro laboratoriale della Cantone con le famiglie di bambini autistici e raccoglie le esperienze di tanti genitori e bambini sintetizzandoli nelle due figure emblematiche di Alma, una madre cilena, e del suo piccolo Niccolò, attorno ai quali gravitano medici, spesso poco comprensivi, e i pochi, importantissimi piccoli amici di Niccolò: Laura una compagna di scuola attratta da Niccolò e Lollo, incapace di comunicare verbalmente ma, come Laura, in grado di comprenderlo e di intendersi con lui.
Il merito principale dello spettacolo mi pare sia proprio quello di avvicinare il pubblico alla realtà dell’autismo cercando da un lato di entrare in contatto con la dimensione mentale e percettiva di questa forma di disabilità infantile, caratterizzata spesso da isolamento e impenetrabilità; dall’altro di ripercorrere la complessa esperienza genitoriale col suo carico di sofferenza, sensi di colpa, gioie inattese e frutto di un’inesausta quotidiana ricerca di comunicazione col proprio figlio. Lo spunto drammaturgico è semplice: Alma porta Niccolò in visita ad uno specialista che diventa l’interlocutore privilegiato di un racconto che ripercorre la vicenda di Niccolò e dei suoi genitori: dall’attonita e dolorosa scoperta dei suoi disturbi e della sua diversità, alla difficile accettazione da parte della madre della condizione di patologia, alla strenua lotta quotidiana per stimolare il figlio, accompagnare i suoi progressi comunicativi e, soprattutto, riuscire a istituire una relazione con lui, un contatto in cui possa aver luogo lo scambio affettivo ardentemente desiderato. Non a caso il coronamento di questa tensione che attraversa l’intera vicenda si ha nella parte finale dello spettacolo quando la madre, indovinato il travestimento carnevalesco da fata che Niccolò le vuole attribuire (mentre lui vuole travestirsi solo “da Niccolò”), in un empito di felicità abbraccia il figlio, così come fa Lollo con tutti quelli con cui sente esserci una sintonia, e in un allargamento simbolico della ritrovata unione, Alma-Eliana Cantone va ad abbracciare calorosamente molte persone del pubblico.
Il mondo delle fate è l’altro filo conduttore dello spettacolo e costituisce insieme all’acqua il punto di riferimento costante dell’universo interiore in cui vive Niccolò. Per rappresentare il fascino e il mistero di questo “mondo parallelo” la Cantone predispone nell’area destra del palco un fantasioso marchingegno in ferro battuto dotato di accessori metallici (un pettorale, un ombrello-lancia) e di una ruota girevole all’interno di una vaschetta piena d’acqua, che Alma aziona, andandosi a sedere, a più riprese nel corso dello spettacolo, su una sedia e mettendosi dei grossi occhiali (che ricordano quelli usati dai saldatori) e un bizzarro copricapo formato da pagliette di ferro. I genitori di bambini autistici, dirà la Cantone nella conversazione col pubblico al termine dello spettacolo, sono come dei guerrieri, e il travestimento da fata-guerriera adottato da Alma ci rimanda sia a questa realtà che all’immaginario di Niccolò per il quale la fata protettrice è magica ed invincibile. Ma la figurazione della “fata meccanica” non è esclusivamente riconducibile al travestimento carnevalesco di Alma perché viene presentata dall’inizio insieme a voci-off registrate di bambini che commentano e fanno domande sulla natura della fata mentre questa, da seduta, si muove in maniera scomposta ed emette suoni e versi inarticolati apparentemente sconnessi che riflettono la pregnanza del livello pre-verbale della comunicazione. La “fata meccanica” viene così a sintetizzare nel suo iperrealismo, sia lo sforzo spasmodico della madre di avvicinarsi alla dimensione fantastica del suo bambino che la sfera interiore di Niccolò, caotica ma estremamente vitale e creativa. Lo stesso tema dell’acqua, più volte riproposto, come elemento in cui Niccolò trova rifugio e benessere, ci avvicina ancor più al segreto di questa impenetrabile dimensione interiore per cui la “non-abilità” di Niccolò si volge in pienezza quando la Cantone propone come prologo ed epilogo dello spettacolo la toccante immagine dei fiocchi di neve che Niccolò contempla perché “ciascun fiocco è diverso dall’altro” e tutti, cadendo al suolo, “si trasformeranno nella stessa acqua”.
La prova recitativa della Cantone è stata intensa ed equilibrata perché ha saputo innervare il racconto “minimalista” della quotidianità fatta di piccoli, costanti, fondamentali momenti e gesti di attenzione e sostegno, con scarti drammatici in cui ha reso palpabile la pena materna per la sorte del figlio e con straniamenti ironici legati al temperamento latino del personaggio di donna sudamericana ma anche alla carica combattiva del genitore-tipo di cui si diceva prima. Uno stile recitativo quindi fedele nella sua aderenza documentaria, alla realtà esperienziale e al tempo stesso portatore di una raffinata teatralità nel suo saper affrontare con levità temi così delicati e toccanti.
Un contributo non marginale alla riuscita dello spettacolo è stato dato dalle musiche, composte ed eseguite dal vivo da Elisa Fighera. Le sonorità del violino, di per sé appropriate ad esprimere il lirismo della solitudine e dello struggimento amoroso, si sono alternate a quelle del vibrafono e di rumori che, con opportuni effetti di amplificazione, hanno restituito prevalentemente le atmosfere riconducibili all’ambiente acquatico. Gli interventi musicali hanno arricchito la performance attoriale, sia fungendo da accompagnamento, sostenendo ritmicamente le parti più concitate o commentando con cadenze più distese le significative pause di silenzio nella narrazione; sia proponendosi in forma di brano autonomo, spesso nel tipico stile iterativo e avvolgente del genere musicale minimalista.