Sette spettacoli vincitori del Festival I Teatri del Sacro, che indagano e riflettono sui temi dello spirito e sull’attualità del sacro nell’accezione più ampia, sono andati in scena al Teatro India dal 7 al 17 aprile. Rappresentazioni che hanno enucleato la tradizione religiosa e la ricerca spirituale calate nella contemporaneità.
Per obbedienza è la commovente storia del piccolo frate interpretato da Fabrizio Pugliese, un semplice di spirito che si innamora della Madonna fino a raggiungere l’estasi, quando l’anima lo porta con sé volteggiando in cielo sui tetti delle case e sugli alberi.
De revolutionibus è la rivisitazione di Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi di alcune opere di Leopardi dove il genere umano, acquisito il senso della propria nullità, si eleva verso il trascendente attraverso la poesia.
Per devozione è un racconto corale sui mille riti della tradizione partenopea: anime del purgatorio, ex voto, piatti delle Feste, le sette Madonne, l’iconografia delle edicole votive, fino a sconfinare nella scaramanzia.
Delirium Betlem è una storia tragicomica scritta e diretta da Alberto Salvi, di tre Re Marci, disadattati che vedono, o sognano, la stella cometa e da quel momento la loro vita e la storia dell’umanità cambieranno radicalmente.
Caino Royale di Rita Pelusio è una riscrittura della Bibbia, sul tema di Caino e Abele, a ritmo di cabaret.
Corrispondenze, diretto da Roberto Aldorasi, è un dialogo silenzioso fra sorelle, una suora di clausura e l’altra che gira il mondo, sospeso tra danza e rarefatte parole.
Io, mia moglie e il miracolo del gruppo Punta Corsara di Scampia, è un testo surreale che racconta la storia di una famiglia sconvolta dall’arrivo in paese di un guaritore che fa rivivere persone e oggetti, anche quando sembra che nessuno sia morto.
L’iniziativa si inserisce nel progetto Il Teatro di Roma per il Giubileo, in collaborazione con Federgat e Fondazione Comunicazione e Cultura, che ha proposto anche la favola nera Il Rosario, ispirata alla novella di Federico De Roberto, che Clara Gebbia e Enrico Roccaforte hanno rivisitato in chiave musicale con l’inserimento di canti e musiche della tradizione orale.
La dispotica baronessa di Sommatino è un’aristocratica siciliana che tiranneggia le tre figlie e ha disconosciuto la quarta, sottrattasi al dispotismo sposandosi. Morto il genero, l’arcigna donna non cambia atteggiamento.
Le figlie, succubi del timore reverenziale verso la genitrice cui si rivolgono con l’appellativo di “eccellenza”, si dibattono tra voglia di libertà e paura dell’ostracismo, sacrificando ogni sogno ai ritmi cadenzati della recita del rosario e dei canti liturgici che la madre, intabarrata in un abito da lutto, conduce da un trono posto in una nicchia.
Si mescolano a una religiosità di facciata pettegolezzi sui paesani, considerazioni sui redditi delle proprietà e sulle paghe dei fittavoli. Dai dialoghi emergono i caratteri di queste giovinezze sfiorite e impietrite in gruppi scultorei, che il magistrale gioco di luci di Luigi Biondi fa emergere dall’oscurità con inquadrature caravaggesche.
Ineluttabile è il potere della donna, “così è, così è stato, così sarà per tutta l’eternità”, che nel finale allarga le braccia mostrando un coloratissimo manto grondante ex voto e simboli devozionali, quasi un potere di origine divina, tenendo le estremità di tre nastri come fossero le spallette del carro di una sacra rappresentazione portato in processione dalle figlie ondeggianti.
Cariche di sonorità le musiche originali di Antonella Talamonti che echeggiano nenie, litanie e canti del venerdì santo. Nené Barini, Germana Mastropasqua e Alessandra Roca sono le sorelle, bravissime nel cantare e recitare con la voce e col corpo in continuo movimento. Filippo Luna mette a disposizione del ruolo autoritario della madre il suo eclettismo, summa del potere maschile e dell’atavico matriarcato esercitato in alcuni contesti siciliani ottocenteschi.