Due parole per presentarvi ai nostri lettori. Chi sono Agata Tomsic e Davide Sacco?
Agata è un’attrice, dramaturg perché scrivo testi originali per i nostri spettacoli e anche una studiosa di teatro. Da circa sei anni anima creativa ma anche gestionale e organizzativa di ErosAntEros insieme a Davide Sacco, che si occupa più nello specifico di regia.
Cosa vi ha spinto a fare teatro?
A: Sono sempre stata appassionata di arte in senso lato: ho studiato musica e danza in passato ma ad un certo punto sono arrivata alla conclusione che il teatro fosse la disciplina dove tutte le arti da me amate potessero confluire, anche per questo mi sono laureata in Discipline dello spettacolo dal vivo.
D: In realtà mi sono laureato in Informatica, però dopo questo traguardo ho cambiato prospettiva di vita avvicinandomi alle varie realtà teatrali indipendenti romagnole ben prima di conoscere Agata.
E a farlo insieme, pur provenendo da studi completamente diversi?
Quando ci siamo conosciuti nel 2010 Davide stava lavorando al suo primo spettacolo, Asprakounelia (Treno fantasma), e ho debuttato con lui in qualità di performer. Da questa esperienza abbiamo scoperto che erano anni che andavamo a vedere gli stessi spettacoli senza conoscerci, gravitando nello stesso circuito e così, scambiando idee e opinioni abbiamo capito di avere in comune la voglia di costruire un percorso autonomo di ricerca teatrale.
Fare l’attore/ice è una scelta professionale o una scelta di vita?
Più che fare l’attore/ice, fare teatro in senso lato per noi è una scelta di vita. Il desiderio è quello sì di stare in scena, ma anche di creare qualcosa di originale che sia solo nostro, unico nel suo genere. Fare teatro è una scelta di vita e non solo una scelta professionale perché, essendo una coppia anche nella vita, faremmo difficoltà oggi come oggi ad immaginarci senza il nostro teatro, senza ErosAntEros. Quando hai un obiettivo comune così forte è sempre lì con te, lo condividi perennemente.
Tre parole chiave per descrivere la nascita di uno spettacolo.
Coraggio, incontro e scontro. Coraggio di portare avanti un’idea e renderla reale, incontro come condivisione e scontro per plasmare l’idea in vista di scambi di riflessioni che possono arricchirla continuamente.
Quali sono state le figure che hanno più influenzato la vostra curiosità artistica?
Gli artisti a noi più vicini sia affettivamente che come guide sono sicuramente il Teatro delle Albe e l’Odin Teatret: con queste due realtà ci confrontiamo perennemente non solo incontrandoci fisicamente ma anche scrivendoci e tendendoci in contatto. Esse ci danno anche la forza di continuare nella creazione dei nostri lavori con amore e dedizione anche nei momenti di debolezza. Abbiamo anche avuto la fortuna di collaborare con le maggiori realtà indipendenti dell’Emilia Romagna (Fanny & Alexander, Motus, Teatro Valdoca, la Societas Raffaello Sanzio) che ci hanno dato la possibilità di usufruire dei loro spazi, della loro esperienza e dei loro occhi, in primis come spettatori. In ambito cinematografico invece il nostro riferimento più caro è David Lynch, punto cardine dell’immaginario dei nostri spettacoli.
Perché e in che modo il saggio Come le lucciole di Georges Didi-Huberman ha segnato il vostro percorso artistico?
Abbiamo letto quel saggio in vista di inserire un messaggio positivo nello spettacolo che si chiama anch’esso Come le lucciole: il filosofo francese stravolge il pensiero pasoliniano delle lucciole che rappresentano un mondo che scompare inghiottito dal capitalismo imperante, dando a queste nuova vita attraverso l’intraprendenza dell’uomo che riesce a salvare la bellezza. Nel nostro spettacolo questo si rispecchia nell’artista come figura di resistenza attraverso l’arte e la cultura.
In questo spettacolo viene sollecitato l’intervento diretto del pubblico tramite domande ben precise poste da un performer e indirettamente attraverso i commenti e i like sulla vostra pagina Facebook. Cosa vorreste ottenere così facendo?
Da un lato vorremmo sottolineare il “tempo dello spettacolo”, ossia il qui e ora del performer che corrisponde al qui e ora dello spettatore presente in sala ma anche al qui ed ora dell’utente che da casa o dal suo cellulare segue lo spettacolo attraverso i contenuti pubblicati su internet. D’altro canto invece, le domande poste vogliono sollecitare una riflessione e siamo molto contenti quando il pubblico risponde, perché non ci sono risposte giuste o sbagliate da dare. L’obiettivo è quello di puntare il dito sull’incomunicabilità della nostra epoca in cui è più semplice esprimere la propria opinione dietro uno schermo che occhi negli occhi.
Quando siete in scena quanto conta il pubblico per voi? Influiscono umori, applausi e commenti sulla performance?
Idealmente no, ma praticamente sì. Se c’è un clima caloroso o freddo, il nostro modo di stare in scena cambia. Però non vorrei che questo andasse ad influire sul nostro modo di eseguire una partitura prefissata, creando sbavature sul lavoro scenico.
Della vostra residenza artistica all’Odin di Hostelbro scrivete sul vostro sito “Siamo in un teatro da sogno: carico, straripante, caldo di presenze e di storia.” Quanto è stato stimolante questo periodo di studio e di ricerca per il vostro avvenire artistico?
Moltissimo. Le parole citate si riferiscono alla nostra prima residenza ad Hostelbro del 2014. E’ un luogo ricco di stimoli, non sembra un teatro ma ha quasi l’aria di un santuario per la quantità di oggetti e documenti che la compagnia più che cinquantenne ha portato dentro questo edificio. E’ un luogo vivo, cuore di una delle più importanti realtà teatrali internazionali del secondo novecento. Durante la prima residenza artistica eravamo completamente immersi in sorprese, odori, emozioni, persone che hanno reso questa esperienza magica.
Ad Hostelbro avete fatto anche un’esperienza particolare: una mattina siete andati in centro città con tamburo e megafono e avete recitato in inglese il prologo di Sulla difficoltà di dire la verità. Quanto è stata importante questa fuoriuscita dagli spazi teatrali convenzionali? Si è ripercossa in qualche modo sulla messinscena del testo brechtiano successivamente?
In realtà sullo spettacolo in sé non si è ripercossa, ma è stata comunque un’esperienza molto importante perché, non facendo teatro di strada non eravamo mai usciti dai luoghi teatrali convenzionali. È una pratica che l’Odin Teatret fa da sempre e che ci è stata richiesta direttamente per coinvolgere la cittadina nelle attività della compagnia perché l’Odin tiene molto a nutrire il rapporto con i cittadini e a farli sentire in qualche modo parte di un processo creativo che si sviluppa in tutto il mondo ma nasce proprio in questa piccola realtà di circa 50000 abitanti.
“Bagliori di r-esistenza” è il nome che avete dato ad una serie di laboratori che porterete in giro per le città con lo scopo di fare del teatro un percorso eticamente radicato. In che modo il vostro lavoro può diventare fattore di cambiamento, trasformazione sociale?
Si spera che lo diventi, il modo lo scopriremo facendo i laboratori. Abbiamo ideato il progetto lo scorso inverno, quando alla fine delle repliche di Come le lucciole ci siamo resi conto che avremmo voluto continuare a condividere quel messaggio in modo più partecipato. L’idea è quella di riunire in questi laboratori non solo professionisti del settore teatrale ma anche chiunque voglia mettersi in gioco e contribuire ad una riflessione che parta da una domanda da indagare insieme.
Raccontateci un po’ del vostro nuovo lavoro Allarmi, in anteprima al Teatro delle Moline dal 26 al 29 aprile.
È uno spettacolo che abbiamo ideato circa un anno e mezzo fa. Abbiamo deciso di parlare di neofascismo sia perché era una riflessione nata da Sulla difficoltà di dire la verità, ma anche perché quando abbiamo cominciato a parlare con Pietro Valenti di Emilia Romagna Teatro sono avvenuti fatti di cronaca che ci hanno fatto ripensare a questo fenomeno in termini teatrali. Così abbiamo scritto una sorta di soggetto di poche pagine su un gruppo di estremisti di destra con a capo un leader un po’ particolare, una donna: figura che di solito non si vede in queste formazioni. Abbiamo affidato per la prima volta la stesura della drammaturgia originale dello spettacolo ad Emanuele Aldrovandi, autore con una capacità di scrivere diversa dalla mia, che creasse personaggi ben definiti nelle caratteristiche psicofisiche e ci siamo incontrati più volte con lui per discuterne fino alla stesura definitiva. Il testo è condito di intermezzi allegorici e riferimenti filosofici sul tema principale che vanno ad intersecarsi con il montaggio vero e proprio dello spettacolo, creando giochi interpretativi diversificati.
Dove sarà e cosa starà facendo ErosAntEros tra dieci anni?
Speriamo stia facendo teatro e stia vivendo di questo, con un po’ di spensieratezza rispetto al presente.