produzione Fondazione Teatro della Toscana
in coproduzione con Compagnia Gli Ipocriti
di Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli
tratto da Le Tre sorelle di Anton Čechov
con Lunetta Savino, Fabrizia Sacchi, Paola Michelini, Anna Ferzetti, Antonella Lori, Pierfrancesco Favino, Bruno Armando, Guido Caprino, Totò Onnis, Francesco De Vito, Renato Marchetti, Teodosio Barresi, Gianluca Bazzoli, Domenico Pinelli
scene Luigi Ferrigno
costumi Lia Morandini
disegno luci Giuseppe D’Alterio
musiche STESQUA
maestro di voce Susan Main
video Marco Schiavoni
disegni sonori Sebastiano Basile
regia Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli
Durata: 2h e 15’, intervallo compreso
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Fino a domenica 1 maggio è in scena al Teatro della Pergola, in prima nazionale, La controra, spettacolo che Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli hanno tratto da Le Tre sorelle di Čechov. L’ambientazione familiare del Meridione negli anni ’50, più riconoscibile dal pubblico italiano, esalta la vita del testo e gli spunti di commedia che Čechov stesso nelle sue lettere diceva di non veder rappresentati a sufficienza.
Tra la lingua di Eduardo De Filippo e Pane, amore e fantasia, i dialoghi scivolano con leggerezza, i rapporti tra i personaggi diventano subito evidenti, forti si rivelano le analogie con il Sud, simili il senso del tempo, dello stare insieme, del fantasticare. Un lavoro che ha radici profonde nella biografia di Favino e Sassanelli, che lo dedicano alle loro madri, e che costituisce anche un omaggio allo stesso Teatro della Pergola.
In scena, accanto a Favino nel ruolo di Natale Vurro, le tre sorelle Vurro e cioè Lunetta Savino, Fabrizia Sacchi, Paola Michelini, e Anna Ferzetti, Antonella Lori, Bruno Armando, Guido Caprino, Totò Onnis, Francesco De Vito, Renato Marchetti, Teodosio Barresi, Gianluca Bazzoli, Domenico Pinelli. La regia è di Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli. Una produzione Fondazione Teatro della Toscana, in coproduzione con Compagnia Gli Ipocriti.
Mercoledì 27 aprile, ore 18, alla Pergola, la Compagnia incontra il pubblico. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili.
Le Tre sorelle di Čechov nel Sud Italia degli anni ’50. Il padre di una drammaturgia del presente, della ricerca dell’attimo, dello stare in ascolto, è stato adattato battuta per battuta da Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli, anche registi, trasportando quel mondo fatto di profumi, colori, sensazioni, che formano una fittissima partitura emozionale, dalla Russia a una zona che sta tra la Campania, la Puglia e la Basilicata. Qui, idealmente, si colloca la messinscena de La controra e la casa in provincia che le tre sorelle Vurro, Carmela, Maria e Caterina abitano insieme al loro fratello Natale. Un’ulteriore sfida, una drammaturgia più complessa, dopo il precedente di Servo per due, riadattamento de Il servitore di due padroni di Goldoni attraverso la riscrittura di Richard Bean, che per due stagioni ha entusiasmato i teatri di tutta Italia, Pergola compresa. L’idea è quella di trasportare un classico in una realtà ben identificabile dal pubblico di oggi, ridargli vita e respiro affinché gli spettatori possano riconoscersi pienamente nella storia raccontata. La lingua parlata dai personaggi è, come è evidente, meridionale, vicina ad alcune commedie di Eduardo De Filippo, che ha contribuito se non permesso al napoletano di diventare lingua teatrale nazionale. Favino e Sassanelli hanno condotto lo studio de Le Tre sorelle leggendo le lettere e gli scritti di Čechov, e poi hanno condiviso il lavoro con tutto il cast l’estate scorsa ad Ariano Irpino, in provincia di Avellino, un periodo vissuto insieme, proprio come fanno i personaggi sulla scena, che ha contribuito a creare il gruppo e a cementare un linguaggio comune. Lo spettacolo, in prima nazionale alla Pergola fino a domenica 1 maggio, è la nuova produzione della Fondazione Teatro della Toscana, in coproduzione con Compagnia Gli Ipocriti. In scena, insieme allo stesso Pierfrancesco Favino nel ruolo di Natale Vurro, ci sono Lunetta Savino (Carmela Vurro), Fabrizia Sacchi (Maria Vurro), Paola Michelini (Caterina Vurro), Anna Ferzetti (Antonietta), Antonella Lori (Angelina, serva/governante), Bruno Armando (Gaetano Maggio, ufficiale medico), Guido Caprino (Ignazio Vacca, colonnello), Totò Onnis (Nicola Kant, tenente), Francesco De Vito (Vincenzo Soleri, capitano), Renato Marchetti (Filippo Fiorito), Teodosio Barresi (Teodosio Ferrari, usciere), Gianluca Bazzoli (Andrea Carlucci, tenente), Domenico Pinelli (Vito Petrone, tenente). Le scene sono di Luigi Ferrigno, i costumi di Lia Morandini, il disegno luci di Giuseppe D’Alterio, le musiche di STESQUA, il maestro di voce è Susan Main, il video di Marco Schiavoni, i disegni sonori di Sebastiano Basile. La regia è di Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli.
Čechov scrive Le Tre sorelle espressamente per il Teatro d’Arte di Mosca. L’opera gli costa molta fatica e riesce a portarla a termine solo grazie alla tenace insistenza del direttore del Teatro, che voleva assolutamente da lui qualcosa di nuovo per la stagione. L’opera va in scena la prima volta il 31 gennaio 1901. L’adattamento di Favino e Sassanelli comincia già nel titolo, La controra. Al Sud la “controra” è quel momento del giorno in cui si sta in casa, in cui non sta bene uscire, si riposa o si parla attorno a un tavolo; è un’interruzione volontaria del fluire del tempo, nell’attesa che riprenda a scorrere negli impegni quotidiani. La casa è il centro di tutto, diventa famiglia e fa da testimone ai cambiamenti. Per Favino e Sassanelli quella casa è il teatro stesso, cioè la Pergola. L’allestimento, infatti, ne ha inglobato completamente l’architettura, lasciando il palcoscenico nudo, spoglio, facendo emergere solo pochi elementi scenici, gli attori e il testo: è come se la Pergola stessa fosse al centro del racconto, che non è solo comprensibile, ma perfino condivisibile, specchio della nostra odierna condizione umana ed esistenziale.
Svanite le prime speranze giovanili e il progetto di andare in città, matura inesorabilmente l’epilogo: Carmela Vurro invecchia sola, Maria Vurro non ama il marito, il maestro Filippo Fiorito, e però deve congedarsi dal colonnello (sposato) Ignazio Vacca di cui si era innamorata, perché viene trasferito in una località lontana. Natale è l’infelice marito dell’insensibile, rozza e presuntuosa Antonietta. Inoltre, muore in un assurdo duello il tenente Nicola Kant, che Caterina Vurro doveva sposare. Andando in direzione di un adattamento ci si è accorti, però, che questi personaggi che di solito appaiono arresi e sognano di andare via, in verità rincorrono in continuazione la vita e anzi guardano al futuro con positività. Soprattutto le figure femminili vengono generalmente rappresentate come in preda alla nostalgia, imprigionate da qualcosa che non avverrà mai, e invece ne La controra le tre sorelle sono donne che hanno la forza di ripartire, indipendentemente dagli uomini.
D’altronde, il senso del tempo e del sacro, della Provvidenza e dell’attesa che si vivono nel Sud Italia, sono sentimenti molto vicini a quelli raccontati da Čechov e la fine dell’800 del testo originale, in cui i personaggi escono dalla guerra di Crimea e aspettano di capire quale sarà la loro prossima destinazione, è equiparabile al periodo che dal secondo dopoguerra va agli anni Cinquanta e alla ripresa economica, periodo di stasi e attesa che si attraversa ne La controra. Per questo, quando hanno iniziato a lavorare sul testo, a Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli è venuto naturale ripensare ai luoghi e ai personaggi della loro infanzia – in Puglia, Favino a Candela, in provincia di Foggia, Sassanelli a Bari – ed entrambi dedicano lo spettacolo alle rispettive madri. Il 3, poi, è numero che ritorna nella famiglia di Favino: ha tre sorelle (Sassanelli due), la famiglia di sua madre è formata da tre sorelle e anche suo zio ha tre femmine. Le ragioni biografiche per la scelta de Le Tre sorelle danno forza all’intenzione che nello spettacolo non ci sia né rassegnazione né malinconia: ci sono persone che vogliono fare delle cose e agire per creare una vita meravigliosa, e seppur al momento non è così, l’importante è darsi da fare perché ciò accada. La “controra”, difatti, si riferisce pure al tempo che va al contrario: le cose dovrebbero girare in una certa direzione, ma ogni tanto l’orologio sembra andare contro l’ora corretta e contro il destino delle persone. Čechov fa iniziare il testo con un orologio che va 7 minuti avanti rispetto all’ora delle campane: scandiscono il tempo, ma contemporaneamente si disinteressano a ciò che le circonda, la storia e il destino vanno comunque avanti.
Noi siamo parte di qualcosa che è prima di noi e che lo sarà anche dopo. Questo ci aiuta a comprendere che è inutile innalzare dei muri: gli unici confini che possiamo davvero darci sono quelli della nostra immaginazione.
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BIGLIETTI
Prezzi
INTERI
€ 32,00 PLATEA ● € 24,00 PALCHI ● € 16,00 GALLERIA
Ridotti (escluso domenica)
OVER 60
€ 28,00 PLATEA ● € 20,00 PALCO ● € 14,00 GALLERIA
UNDER 26
€ 20,00 PLATEA ● € 16,00 PALCO ● € 12,00 GALLERIA
SOCI UNICOOP FIRENZE (martedì e mercoledì)
€ 25,00 PLATEA ● € 18,00 PALCHI ● € 13,00 GALLERIA
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BIGLIETTERIA
Teatro della Pergola, via della Pergola 30, 055.0763333 biglietteria@teatrodellapergola.com.
Orario: dal lunedì al sabato dalle 9.30 alle 18.30.
Online su www.teatrodellapergola.com/evento/la-controra/ e tramite la App del Teatro della Pergola.
Circuito regionale Boxoffice.
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Pierfrancesco Favino: Verso Sud …
di Angela Consagra
La controra è un riadattamento da Le Tre sorelle di Čechov.
“Esiste una ragione biografica per la scelta di questo testo: io ho tre sorelle, la famiglia di mia madre è formata da tre sorelle, mio zio ha tre femmine … è un numero che ritorna nella mia famiglia; inoltre sono attratto dalla forza delle donne raccontate da Čechov. In genere, queste figure femminili vengono rappresentate come in preda alla nostalgia, costrette da qualcosa che non avverrà mai, ed io invece ho sempre letto Le Tre sorelle in maniera diversa: come donne che hanno la forza di attraversare le tempeste e di ripartire, che non dipendono per forza dagli uomini. In questo momento storico che stiamo vivendo la donna, soprattutto in Italia, è al contrario spesso raffigurata come bisognosa o nevrotica: mi piacerebbe molto che questo spettacolo potesse dare una lettura nuova e forte da questo punto di vista. Credo che ci sia una grandissima empatia da parte di Čechov per ciascun personaggio e dopo l’esperienza del nostro spettacolo precedente Servo per due sapevamo di voler affrontare, come ulteriore sfida, una drammaturgia più complessa. L’idea è quella di trasportare un classico in una realtà più identificabile dal pubblico italiano di oggi, in cui gli spettatori abbiano pienamente il diritto di riconoscersi nella storia”.
Le protagoniste di questo testo sono le donne?
“Questo è un testo corale e parla di una casa che cambia proprietario: al suo interno i protagonisti vivono una loro trasformazione. Tutto avviene durante un tempo straordinario: è il momento dell’attesa della festa. I personaggi non sono colti nella loro quotidianità: è la descrizione di un pranzo domenicale che cade durante un onomastico, poi c’è un incendio notturno che devasta tutto e si assiste anche alla partenza di un reggimento che era stato in questo paese per cinque anni. È il tempo dell’interruzione del quotidiano a creare la trama di questo testo. Per quanto riguarda la preparazione allo spettacolo, insieme a Paolo Sassanelli abbiamo iniziato un’operazione dl riscrittura di quest’opera di Čechov e insieme agli altri attori la scorsa estate abbiamo condiviso un’esperienza comune: siamo stati ad Ariano Irpino, in una zona che va tra la Campania, la Puglia e la Basilicata. Questo è il luogo in cui si colloca idealmente la nostra messinscena. La convivenza ha contribuito a creare un gruppo: per un periodo abbiamo vissuto insieme proprio come fanno i nostri personaggi sulla scena e si è cementato un linguaggio comune. La squadra tecnica dello spettacolo è composta dagli stessi tecnici di Servo per due, insieme ai tecnici del Teatro della Pergola: tutte persone straordinarie”.
Quale ruolo assume il pubblico nello spettacolo?
“Il pubblico deve essere partecipe e ci sono tanti modi per portare dentro allo spettacolo gli spettatori: il primo è emozionandoli, facendo in modo che la storia si capisca fino in fondo e che le vicende di questi esseri umani siano non solo comprensibili, ma perfino condivisibili. Questo è lo sforzo fatto con gli attori, insieme alla scelta dell’impianto scenico: la casa delle Tre sorelle è per noi il teatro, la messinscena ne ha inglobato l’architettura: dal punto di vista dell’immagine è come se la Pergola fosse al centro del racconto di questo nostro paese. È uno spettacolo apparentemente semplice e volutamente scarno, ma allo stesso tempo ricchissimo. Sicuramente lo spazio della Pergola è stato fonte di una grandissima riflessione da due anni a questa parte, architettonicamente è parte dell’idea della scena. Per me è una meraviglia e un onore debuttare in questo teatro”.
Ne La controra le atmosfere di fine Ottocento sono riadattate ambientandole nel Sud Italia dei primi anni Cinquanta…
“Per il nostro Paese quello è un momento storico di stasi e di attesa, la stessa atmosfera vissuta nell’opera di Čechov dove i personaggi escono dalla guerra di Crimea e aspettano di capire quale sarà la loro prossima destinazione. Anche i nostri soldati alla fine della guerra hanno vissuto nell’attesa di una ricostituzione di uno scacchiere politico internazionale. Inoltre il Meridione è parte integrante di questa idea: il senso del tempo e del sacro, della Provvidenza e dell’attesa che si vivono al Sud sono dei sentimenti molto vicini a quelli raccontati da Čechov. Quando ho iniziato a leggere il testo, le prime persone che mi sono venute subito in mente sono quelle che circolavano attorno a casa di mia madre e di mia nonna, infatti questo spettacolo lo dedico a mia madre e anche Paolo Sassanelli lo dedica alla sua. Quella che in Čechov viene chiamata “noia” o “stanchezza” si ritrova anche nel Meridione, fa parte di una retorica dell’attesa e dei convenevoli quotidiani: al Sud dire “Come sono stanco” può anche significare semplicemente “Buongiorno!”… Sono luoghi pieni di gesti meravigliosi, in cui si dà il giusto peso alle cose, al cibo, alla convivialità, all’essere innamorati e perfino alla morte. Sono tutte emozioni che vanno insieme, sia in Čechov che nel nostro Meridione”.
Sono tematiche che sembrano molto vicine ad un autore come Eduardo De Filippo…
“Sì, è vero. Eduardo è il drammaturgo per me più vicino a Cechov. Il fatto che Eduardo De Filippo come autore sia riuscito a far diventare il napoletano una lingua nazionale dal punto di vista teatrale, ci consente di pensare che anche la nostra messinscena possa essere ascoltata e condivisa proprio grazie alla sua esperienza. Il linguaggio parlato nello spettacolo appartiene ad una zona della Puglia in cui si avverte ancora tanta influenza della Campania… A Candela, che è il paese di mia madre, si parla un misto di pugliese e campano; già a distanza di pochi chilometri la stessa parola si pronuncia con un diverso suono vocale. La storia della lingua di quella zona d’Italia racconta la storia delle dominazioni e delle identità che ancora si mantengono così forti e che sono meravigliosamente mutevoli”.
Quando era piccolo, viveva il momento della “controra”?
“Certamente! Dopo pranzo si abbassavano i rumori, il papà e i nonni andavano a riposare e quindi bisognava stare zitti: si poteva giocare, ma solo stando in silenzio. Fuori la strada era silenziosa e calda, c’era questa atmosfera messicana tipica dell’estate al Sud”.
Un po’ come la siesta dei Paesi dell’America latina?
“Nel nostro spettacolo il tempo della controra assume anche un altro senso perché si riferisce al tempo che va al contrario: le cose dovrebbero girare in una certa direzione, ma ogni tanto l’orologio sembra andare contro l’ora corretta e contro il destino delle persone. Čechov fa iniziare il testo con un orologio che va 7 minuti avanti rispetto all’ora prestabilita dalla campana: è un tempo che scandisce ma che contemporaneamente se ne frega di ciò che ci circonda. Se potessimo guardare questi esseri umani dall’alto, indaffarati e colti nel pieno delle loro azioni e dei loro sogni, ci apparirebbero come delle formichine che piano piano si impegnano in un’attività, mentre il tempo, la storia e il destino vanno comunque avanti. È la vita che continua a dispetto di tutto, con le sue leggi. Questo testo di Čechov è stato scritto nel 1900, quindi permane l’idea di ritrovarsi ad attraversare un secolo e di andare verso l’ignoto, una sensazione poi non così diversa da quella che abbiamo provato noi stessi nel Duemila: “Cosa ne sarà di noi domani?”, è questo il sentimento. Il tempo che sta raccontando Čechov rappresenta l’angoscia e la curiosità di ciò che non si conosce. Lo scavallamento verso il nuovo secolo è stato sentito enormemente sotto il profilo culturale: i cambiamenti nella filosofia e nella letteratura… Tutto ha contribuito a spaccare le forme precedenti per arrivare a costruire una nuova identità. L’ultima battuta de Le Tre Sorelle dice testualmente: “La vita non è finita; senti la musica, senti… Bella, eh?” “Che ne vuoi sapere tu, che ne vuoi sapere? Tu che ne vuoi sapere?” Noi ci sforziamo ed impegniamo in tutte le nostre attività, ma alla fine il mondo continuerà a vivere e cambiare indipendentemente dalla nostra volontà. Noi siamo parte di qualcosa che è prima di noi e che lo sarà anche dopo… C’è serenità in questo tipo di sentimento perché ci aiuta a comprendere che è inutile innalzare dei muri: gli unici confini che possiamo davvero darci sono quelli della nostra immaginazione”.
Questa è una messinscena cinematografica?
“Credo che dal punto di vista dei dettagli gli attori abbiano bisogno, per esempio, di “sentire il profumo delle lenzuola”: questo è un aspetto che già figure come Stanislavskij o Visconti curavano molto. Penso che in realtà questo allestimento sia estremamente teatrale, però un aspetto cinematografico forse può anche essere dovuto al fatto che ogni spettatore avrà la sua personale visione dello spettacolo. La scena è stata volutamente pensata perché ogni angolo della visione sia un angolo dedicato, ognuno con un differente punto di vista. Nel nostro Čechov viene ritratto un gruppo che piano piano diventa una serie di individui: questo è un aspetto che riguarda molto la modernità e il senso del fare teatrale. Una collettività che si fa individuo e individui che formano una collettività”.
Paolo Sassanelli: Sangue e vita
di Angela Consagra
Qual è stata l’idea di partenza de La controra?
“Questo spettacolo nasce proprio a Firenze, durante una chiacchierata al ristorante dopo le prove della ripresa di Servo per due, il nostro spettacolo precedente. Parlavamo di cosa fare in futuro, facevamo delle ipotesi … abbiamo capito che volevamo mettere in scena Čechov, un autore che ci appassionava già da tanto tempo. Il nostro desiderio non è di fare un allestimento classico de Le Tre sorelle, piuttosto l’intento è quello di ridare vita, colori e respiro a un autore come Čechov. Abbiamo deciso di ambientare la storia nel Sud Italia, prendendo il testo originario e adattandolo battuta per battuta in una cadenza pugliese e immaginando che l’azione si svolga in un particolare luogo geografico, al confine tra Basilicata, Puglia e Campania. Lavorando in questa direzione abbiamo scoperto alcuni aspetti che nel testo di Čechov avevamo forse intravisto prima solo in maniera didascalica o scontata: questi personaggi che appaiono arresi e che sognano di andare via, in fondo sono delle figure che rincorrono in continuazione la vita e che anzi guardano al futuro con positività. Le Tre sorelle di Čechov è un capolavoro della letteratura teatrale di fine Ottocento. Un’opera meravigliosa, che ha bisogno di sangue e di vita per essere messa in scena.
Perché avete scelto proprio Le Tre sorelle di Čechov? Che cosa in particolare vi ha attratto di questo testo?
“Molti sono i motivi che ci hanno indotti a scegliere Le Tre sorelle … uno dei tanti è che Pierfrancesco ha tre sorelle e io ne ho due, quindi i personaggi della nostra infanzia – la mia a Bari, quella di Favino a Candela – è un po’ come se li avessimo messi dentro a questo spettacolo, in maniera nascosta e coprendo sotto altri nomi i vari personaggi. Nella nostra messinscena non c’è la rassegnazione né la malinconia: ci sono persone che vogliono fare delle cose e agire per creare una vita meravigliosa, anche se al momento magari non è così, l’importante è darsi da fare perché ciò accada. Sono dei personaggi rivolti al futuro”.
È una messinscena gioiosa come già Servo per due?
“Il nostro intento primario rimane comunque quello di restituire al pubblico la voglia di andare a teatro, proprio per ribadirne l’identità. Andare a teatro deve diventare un fatto necessario, come è già nelle altre culture nord europee. Ci sono tanti odori e tanti profumi che emergono da questa messinscena … in alcuni momenti sembra quasi uno spettacolo di Eduardo De Filippo, in altri è come se ci trovassimo in una scena di Pane amore e fantasia … Eduardo – come anche altri autori napoletani tipo Viviani – conosceva gli scrittori russi, ne possedeva i libri: Čechov è stato letto e amato, quindi esiste un legame tra la nostra cultura del Sud e la Russia. Bari, per esempio, ha un’affinità fortissima con il mondo slavo: abbiamo l’unica chiesa russa esistente in Europa e ci sono tanti preti ortodossi. Per concludere, questa messinscena è dedicata al Teatro della Pergola: abbiamo denudato completamente il teatro lasciando emergere solo pochi elementi scenici, gli attori, le luci e lo stesso Čechov”.