Nihil sub sole novi. Non si verificano solo oggi le commistioni scandalose tra finanza e politica, le cui reali cause vengono occultate alla pubblica opinione, nonostante le onerose conseguenze che i cittadini sono costretti a subire.
Massimo Popolizio ha catturato l’attenzione del pubblico che ha gremito lo storico teatro fino all’ultimo ordine di palchi, con la lettura del testo di Anthony Majanlahti nell’ambito di un progetto ideato e promosso da AcomeA SGR, società di gestione del risparmio, e curato da Trivioquadrivio, società di consulenza culturale e formazione, in collaborazione con il Teatro di Roma. Dopo la prima tappa romana presso la LUISS Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli e il successo riscosso al Teatro Franco Parenti di Milano, il testo ripropone in forma di spettacolo una riflessione sull’uso politico della finanza e del denaro che anche oggi solleva problemi insoluti di informazione etica e trasparente. Nella seconda parte, l’economista Gianni Toniolo e il presidente di AcomeA Alberto Foà commentano le vicende che hanno portato all’istituzione della Banca d’Italia, fornendo elementi chiarificatori sulla crisi internazionale attuale e sulla situazione italiana, poiché “le cose importanti da sapere per occuparsi bene dei propri soldi sono poche e semplici. Il senso e lo scopo di questo progetto è renderle accessibili a tutti”, sostiene Foà.
Lo storytelling sullo scandalo politico-finanziario che travolse la società del giovane Regno d’Italia inizia nel 1889 quando, in assenza di una banca centrale, erano sei quelle autorizzate ad emettere cartamoneta: Banca nazionale del Regno, Banca romana, Banca nazionale toscana, Banca toscana di credito per le industrie e il commercio, Banco di Napoli e Banca di Sicilia. Qualcuna dava segni di instabilità a causa di finanziamenti illeciti ai partiti camuffati da operazioni bancarie fittizie e di speculazioni edilizie che culminarono nella crisi del settore delle costruzioni, soprattutto a Roma divenuta capitale del nuovo Stato in cui la rapida costruzione di nuovi quartieri aveva stravolto il profilo urbano e innescato la bolla immobiliare. La Banca romana tentò di contenere la sua esposizione negli investimenti edilizi con una maggiore emissione di carta moneta e addirittura con la messa in circolazione di banconote false con lo stesso numero di serie di quelle in circolazione e non ritirate. Tutto a danno dei piccoli clienti che non riescirono a recuperare i loro depositi per carenza di fondi, fondi elargiti invece a tante persone influenti senza garanzia (parlamentari, costruttori, imprenditori, funzionari ministeriali e perfino giornalisti che annacquavano le notizie).
Fu inevitabile avviare un’inchiesta amministrativa, dopo vari tentativi politici di insabbiamento, che venne affidata al probo senatore Alvisi, dalla quale emerse che la Banca romana aveva stampato 25 milioni di lire in più e sanato l’ammanco di cassa con biglietti falsi, per finanziare le speculazioni edilizie e foraggiare politici e giornalisti. La relazione dell’inchiesta non fu mai pubblicata per l’ostracismo di Crispi e Giolitti. Dopo la morte di Alvisi, nel 1892, il deputato radicale Colajanni riferì alla Camera la relazione; scoppiò lo scandalo, che portò all’arresto del Governatore Tanlongo e del direttore Lazzaroni e al coinvolgimento di numerosi parlamentari tra cui Crispi (il carteggio licenzioso della moglie sarà a lungo tema di ricatti) e Giolitti che riparò all’estero.
Tutti negarono gli addebiti, numerosi documenti furono sottratti, tutti furono assolti. Nel 1893 venne approvata la legge che istituiva la Banca d’Italia, cui venne affidata la liquidazione della Banca romana, come istituto di emissione dello Stato, insieme al Banco di Napoli e alla Banca di Sicilia. Bisognerà aspettare il 1926 perché diventi l’unico istituto autorizzato a stampare banconote.