Un tuffo negli anni della contestazione che nel 1968 ha veicolato l’insofferenza giovanile verso le precedenti generazioni ritenute antiquate e repressive, mosse da una pulsione di rivalsa contro la cultura dominante, fomentata dai movimenti studenteschi e dalle rivolte di piazza. L’esigenza di mettere in discussione quei canoni diventando parte attiva di un processo di cambiamento si espresse nell’occupazione delle scuole, forma di aggregazione e proposta di tematiche generazionali che annullava le differenze sociali e introduceva un nuovo circuito dialettico e lessicale.
La drammaturgia di Gianni Clementi, sempre attenta alle tematiche storico-sociali, ci propone l’esperienza pregnante di un gruppo di studenti che maturano la consapevolezza del loro essere al mondo.
È il 12 dicembre 1969. Diciassette studenti sono barricati nel liceo romano Dante Alighieri, circondato dalla celere chiamata dal preside. Sulle note di “Ma che colpa abbiamo noi” dei Rokes (“… vediamo un mondo vecchio che/ci sta crollando addosso orma/Ma che colpa abbiamo noi/e se noi non siamo come voi/una ragione forse c’è/e se non la sapete voi/ma che colpa abbiamo noi …”) inizia il cicaleccio di questa comunità solidale nella quale si esprimono le diverse personalità, si rinsaldano amicizie, si scatenano gelosie, si coltivano amori inneggiando a Che Guevara e citando i pensieri di Mao Tse-tung.
Dal figlio dell’onorevole a quello dell’idraulico viene rappresentato un variegato spaccato sociale di adolescenti romani accomunati dall’utopia di cambiare il mondo e segnare la storia. Le ragazze di vedetta scrutano i movimenti esterni dei celerini, lo spaccone sfodera la vena comica, qualcuno si occupa di ciclostilare i volantini, chi provvede ai pasti si dimentica dei tempi di cottura. La varietà dei tipi passa dal timido secchione al toscano dall’accento simpatico, dalla balbuziente insicura all’artista tenace, dal succube dell’autorità paterna allo sfigato con le ragazze mentre il leader del gruppo viene conteso alla ragazza storica da una svampita lolita. Fra battute e battibecchi si canta accompagnandosi con la chitarra e si vive il momento epico della rivoluzione.
La sera, la realtà esterna irrompe violentemente e frantuma le utopie: è la strage di Piazza Fontana. Sui banchi assemblati a mo’ di schermo scorrono le drammatiche immagini di morti e sangue di quella giornata, che segnerà il crinale di un’epoca.
Il secondo atto si apre su un’occupazione negli anni 2000 di ragazzi tecnologici privi di spinte ideologiche, controllati e vezzeggiati da madri ansiose e padri protettivi con continue telefonate al cellulare. Gli studenti del ’69 hanno percorso varie strade, alcuni si sono affermati, altri hanno abdicato ai valori, tutti si sono integrati e i loro rampolli, adesso, indossano abiti firmati, non alzano il pugno ma si scatenano con la break-dance, non cantano “Hasta siempre” di Carlos Puebla ma musica techno, qualcuno è omosessuale, tutti sono omologati. Fra loro si instaurano nuove dinamiche, ma non c’è tempo per coltivare ideali, non c’è rabbia per inseguire la rivoluzione, l’occupazione è un rito privo di sogni. Desideri di cambiamento? Smarriti nelle pieghe del conformismo!
Claudio Boccaccini dirige un cast di diciassette giovanissimi, alcuni figli d’arte i cui padri un po’ commossi sedevano in platea, col rigore del regista che ha maturato una lunga esperienza di scuola di teatro e la benevolenza di chi quei momenti ha vissuto e metabolizzato, consentendo a ciascuno di esprimere lo spessore del suo personaggio attraverso i tremiti di una giovinezza inconsapevole del proprio futuro. Futuro che si conoscerà nel finale, in cui ogni figlio raccoglierà idealmente il testimone dal genitore del quale si saprà che la vita è stata divergente dalle premesse e sono diventati un critico d’arte, una manager di successo invitata a Cernobbio, un’attrice frustrata, un commissario, un chirurgo, un prete, un carcerato, una si è scoperta lesbica, altre sono semplicemente mamme.
Una messa in scena venata di delicata malinconia, calibrata nella velocità dei dialoghi e dei tempi scenici, improntata a un accurato realismo nei contenuti e nel lessico che indulge in espressioni gergali, nell’abbigliamento, nelle capigliature e negli atteggiamenti, con la colonna sonora di una doviziosa sequenza di brani musicali dell’epoca, che hanno fatto canticchiare e commuovere molti.
Gli interpreti sono talentuose promesse: Grace Ambrose, Sergio Andrei, Lucia Clementi, Federica Di Lodovico, Maria Chiara Dimitri, Benedetta Fasano, Leonardo Ghini, Eugenia Iorio, Filippo Laganà, Federico Le Pera, Luca Paniconi, Paolo Roca Rey, Francesco Sarmiento, Tiziano Scrocca, Camilla Tedeschi, Filippo Tirabassi, Diana Zagarella.