Il Teatro Metastasio propone la Medea di Seneca, un testo di quasi duemila anni e, nonostante ciò, è un testo che tuttora fa parlare e discutere. Medea vittima o carnefice? Folle, perchè offuscata dall’amore o l’unica che riesce a vedere le cose sotto un luce più vera e più pura? Probabilmente Medea è tutto questo; incostante e contorta, tormentata e perennemente avvinghiata ai suoi demoni interiori. Medea è donna. Medea è il mare, quello stesso mare che separa la sua infanzia dalla sua vita da donna e da peccatrice, anche se ogni delitto commesso è stato solo per amore, anche quello più atroce. Ancora nella critica non si trova una linea comune ed è proprio questo forse a dare una spinta maggiore per scegliere nuovamente Medea. L’interpretazione di Seneca è quella di rintracciare l’origine del peccato di Medea nel peccato di Giasone, quello che lo spinse ad andare in Colchide accompagnato dagli argonauti alla ricerca del vello d’oro.
Paolo Magelli inserisce Medea nel suo repertorio e sceglie Valentina Banci nella parte dell’eroina abbandonata.
La messa in scena non sempre è incisiva e convincente, anche se rimane sempre molto intensa la Banci. Il coro invece risulta a volte troppo caricato nelle battute pronunciate spesso in modo sgradevolmente gridate. Certamente non c’è un’unità e un’armonia tra la Medea, al centro, e il coro che l’avvinghia per tormentarla.
L’ambiente scelto da Magelli per la sua Medea è un ambiente quasi desertico, sterile. La sabbia che ricopre lo spazio scenico ci riporta a quella spiaggia dove sbarcò la nave Argo e da dove iniziarono tutte le nefandezze. Se la scenografia può risultare convincente certamente non lo sono i costumi che potrebbero ricordare un’ambiente di inizio Novecento e non è comprensibile tale scelta se non quella di voler “attualizzare” a tutti costi l’ambientazione.
Nel complesso gradevole, più per la bellezza del testo che per la messa in scena.