Dal 22 al 24 aprile è andato in scena al Teatro Cestello di Firenze la pièce “Storie di ordinaria follia”, di Martina Mecacci e Samuel Osman, con la regia di Samuel Osman.
L’opera in prosa prende spunto dalla nota fatica di Charles Bukowski, dove l’ordinario diventa “ordinato”, “pulito”, “fatto con coscienza” e dove quindi la follia diviene normalità e prende il posto, dentro di noi, a quell’umanità che avremmo ma che in tanti (troppi) individui non vediamo più.
In scena si alternano tre realtà, tre episodi differenti, che fanno intuire tre storie distinte; queste tre andranno a mescolarsi di scena in scena, innsecando un’aspettativa ansiogena, andando a formare un filo conduttore che si solidifica, man mano che il plot prende forma, in un’unica storia malata.
La trama è acida, gli argomenti sono drammaticamente reali, contemporanei, tangibili e palpabili, e sono presentati in cronologia disordinata.
Tematiche forti, sesso malato, violenza. I personaggi sono deviati e senza morale, la tensione si respira, come dinanzi ad un thriller.
La tensione cresce nel buio del teatro durante i cambi di scena, quando gli attori sbucano improvvisamente alle spalle della platea o da una porta laterale illuminati da una candela fioca.
In quest’opera si uccide per noia e per vedere l’effetto che fa, si è cannibali in reazione ad un sistema ingiusto, si uccide per dedizione e senso di giustizia, si ammazza perchè se ne ha voglia.
A tratti la tensione diviene insopportabile e non si aspetta altro che lo scorrere della trama e il raggiungimento della luce chirificatoria. È un allestimento ben fatto e stupefacente. Da vedere.