Prima Nazionale
(3 aprile 2016)
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Nel teatro d’opera se non capisci tutte le parole c’è la musica che compensa, ma nel teatro di prosa se la parola non è comprensibile è proprio un dramma o una noia mortale, ancor più se il testo è una commedia dal ritmo serrato con due soli protagonisti obbligati a saltellare da un ruolo ad un altro senza interrompere l’azione in un coinvolgente e a volte assurdo gioco delle parti tra realtà e finzione. Cioè lui e lei devono essere un attimo se stessi e un attimo il personaggio teatrale che stanno provando. Stuzzicante, ma non si può perdere una battuta.
La trama è semplice, ma in crescendo. Thomas, un regista teatrale, intende mettere in scena questo testo e sta cercando la protagonista. Il ruolo più sfaccettato è quello della donna, che deve essere una signora quando entra nella finzione provando la parte di Vanda, ma deve tornare nella sua realtà quando commenta a voce alta col suo linguaggio abituale piuttosto scurrile. Ed è proprio l’intercalare, quasi un commento tra i denti, a sprigionare ironia, ma purtroppo chi era nel secondo ordine di palchi non ha potuto ridere perché da lassù le battute più strette non si sentivano, sia per la diminuzione del volume vocale (ma il sottovoce deve essere comunque udibile a teatro), sia per la mancanza di scansione della parola, così importante in palcoscenico come i silenzi. Sabrina Impacciatore nel ruolo di Vanda è una brava interprete, passa agevolmente dal linguaggio volgare e l’atteggiamento informale della popolana al linguaggio aulico e la posa del personaggio teatrale, dalla frivolezza all’alterigia, si muove bene e mostra con nonchalance le sue grazie, anche la recitazione è azzeccata come inflessione e ritmo, ma gran parte di ciò che dice a voce bassa e con accento romanesco (almeno mi è sembrato tale) è incomprensibile, l’attrice si mangia le parole, non sa cosa siano parola scenica e dizione, solo quando alza il volume e il tono della voce si capisce il discorso che è purtroppo disturbato dalla famosa zeppola, ossia la “s” spunta. Quando fa l’attrice si capisce, quando fa la popolana non si capisce niente. E, siccome tutta la commedia è una continua altalena tra realtà e finzione, è una gran fatica seguire senza capire tutte le battute, si perde l’ironia, il sarcasmo e ci si annoia. Invece Valter Malosti nel ruolo di Thomas ha una bella voce timbrata e teatrale, scandisce la parola con dizione chiara e accento appropriato, recita e si muove con spontaneità. Nell’insieme non c’è stata una straordinaria prova attoriale dei due interpreti.
Registicamente è tutto un po’ piatto. Il regista Valter Malosti avrebbe dovuto giocare con più arguzia sulle sfumature psicologiche e sui differenti linguaggi e atteggiamenti tra realtà e finzione, avrebbe dovuto accentuare i contrasti nei mutamenti degli assetti emotivi, nei passaggi d’umore e negli scambi di ruolo, avrebbe dovuto gonfiare con spirito ironico la componente sadomaso nelle scene di seduzione e di domino/sottomissione, visto che lei era in guepière nera (bella ma non erotica), per rendere il gioco elettrizzante e soprattutto avrebbe dovuto pretendere una pronuncia chiara della parola. Ne sarebbe uscita una pièce esilarante con ritmo narrativo serrato e frizzante. E la pelliccia? Perché non c’era? Non doveva presentarsi una donna dall’aspetto marmoreo avvolta in un’enorme pelliccia scura?
Belle e colorate le semplici scene di Nicolas Bovey che ha scelto luci calde, belli i costumi femminili, normali quelli maschili, ideati da Massimo Cantini Parrini. Suono G.U.P Alcaro, aiuto regia Elena Serra.
Produzione Pierfrancesco Pisani, Parmaconcerti e Teatro di Dioniso in collaborazione con Infinito srl e Fondazione Teatro della Fortuna / AMAT.
Testo drammaturgico di David Ives dal romanzo erotico di Leopold von Sacher-Masoch del 1870, traduzione Masolino D’Amico.