Il teatro di Vincenzo Zingaro è orientato allo studio e al recupero delle radici culturali del teatro classico. La poesia epica, che si incontra sui banchi di scuola, è il classico per antonomasia, secondo la definizione di Calvino “Un classico è un’opera che non ha mai finito di dire quello che ha da dire”che il regista ama citare. Dopo il successo ottenuto ai Fori Imperiali, riporta in scena al Teatro Arcobaleno, Centro stabile del classico, il suo cavallo di battaglia, spettacolo-concerto sul mondo dell’epica, fondamento della cultura europea.
Gesta di eroi, uomini e semidei, percossi da sciagure immani e passioni distruttive. Parole e musica si fondono e si potenziano, senza soluzione di continuità, amplificando le schiumose parole di collera con lo sciabordio delle onde o accompagnando la pietosa accettazione del Fato con le lamentazioni delle prefiche.
Achille, Ettore, Ulisse, Enea. La loro epopea si sprigiona dai versi di Omero e di Virgilio, veicolata dalla timbrica suadente e potente, avvolgente ed empatica di Vincenzo Zingaro.
Moderna drammaturgia di temi mitologici, la messinscena ideata e diretta da Zingaro propone gli elementi originari dei testi antichi, mettendone in evidenza le tematiche fondamentali, in una lettura personale che valorizza lo spirito degli autori da cui emergono i caratteri universali di moderni eroismi e sfide all’ignoto, attestazione della loro universalità.
Le musiche di Giovanni Zappalorto eseguite dal vivo dall’ensemble con l’autore alle tastiere, Clizia Aloisi a tastiere e voce, Marzia Ricciardi al violino, Francesca Salandri ai flauti e Marzio Audino a timpani e percussioni, si legano ai versi cui danno voce Annalisa Amodio e Sina Sebastiani, dee e sirene, e Piero Sarpa iroso e roboante Achille.
Dopo l’invocazione alla musa che lo ispiri nel narrare i fatti “Cantami o diva del Pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei …” del proemio, esplode l’ira del divino Achille contro il valoroso Ettore che offre il petto al dardo nemico, tratto in inganno da Atena presentatasi sotto mentite spoglie.
“Musa, quell’uom di multiforme ingegno dimmi, che molto errò poich’ebbe a terra gittate di Ilion le sacre torri; che città vide molte, e delle genti l’Indol conobbe …” sono i versi che introducono l’avventuroso Ulisse, che la sete di conoscenza spinse in infinite peregrinazioni, fino al pericolo estremo di Scilla e Cariddi, dove l’insidioso canto delle sirene non lascia scampo ai naviganti. Saranno i consigli della maga Circe a salvarlo, facendosi legare con le funi all’albero maestro dai compagni cui ottura le orecchie con la cera per sottrarli al mortale richiamo.
“L’armi canto e ‘l valor del grand’eroe che pria da Troia, per destino, ai liti d’Italia e di Lavinio errando venne …”: ecco avanzare Enea destinato dal Fato a fondare Roma, rispettoso dei valori familiari, obbediente alla divinità. Fuggito da Troia in fiamme col vecchio padre e il figlioletto, guidato dagli dei, darà origine alla gens Julia e alla stirpe romana. Unico essere vivente a compiere il viaggio agli Inferi, dove incontra l’indovino Tiresia che gli rivela il futuro, e il terribile traghettatore di anime Caronte.
Epos, lirismo, poesia, fantasia, creatività, suono, musica, voce evocano immagini di scontri cruenti e sovrumani, di tensione verso nuovi mondi, di coraggio, dignità, devozione.