Di Alessandro Baricco
Con Natalino Balasso, Fausto Russo Alesi, Camilla Nigro e Mariella Fabbris
Regia Gabriele Vacis
Scenofonia, luminismi, stile Roberto Tarasco
Costumi Federica De Bona
Produzione Teatro Stabile del Veneto e Teatro Stabile di Torino
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Sarà per la mia predisposizione all’acqua e alle sue sonorità, ma questo spettacolo ambientato alle cascate mi ha veramente colpito. Smith & Wesson, di Alessandro Baricco, inizia con il dialogo tra due uomini, che sembrano non avere nulla in comune, ma che si incuriosiranno l’un l’altro, fino a diventare soci di un’impresa mai tentata prima. Una giovane giornalista squattrinata bussa, infatti, alla loro porta e li coinvolge nella preparazione del suo folle volo tra le cascate del Niagara: una sorta di numero da circo, fatto per garantirsi una volta per tutte successo, fama e memoria; sì, un frammento nella memoria collettiva della città, un frame, nel lungo film di ricordi, anche sensazionali, della gente del posto.
Come tutte le grandi avventure, anche questa comporta un grande rischio e i due compari cercano di fare il loro possibile, mettendo a disposizione i loro talenti per la riuscita dell’impresa.
Il talento: la giovane protagonista sprona compagni e pubblico a individuare il proprio, mettendolo al servizio di una vita vissuta per davvero; evitando, in qualsiasi modo, quella sorta di morte quotidiana che lei dice di sentire e che la fa morire giorno dopo giorno, nell’inutilità e nella noia. Quelle di chi non sta dando voce al proprio talento, qualunque esso sia.
Come ho detto, l’impresa racchiude un grosso pericolo e due possibilità: la riuscita o la morte. Rachel mostra la giovane attitudine al tutto per tutto, all’ora o mai più, e con il suo impeto risolleva anche gli entusiasmi sopiti degli altri due uomini.
Si potrebbe guardare con adulta tenerezza agli istinti della giovane protagonista, a quella sensazione di fiducia e sfida che ognuno attraversa prima o poi nella vita, per poi “normalizzarsi” in un percorso definito. Tuttavia, mi piace pensare alla nuova storia raccontata da Baricco, come un incoraggiamento a prendersi veramente carico delle proprie vite, a non morire giorno dopo giorno, a rischiare un po’.
Mettendo in scena il decorso di questo cimento scalmanato, l’autore invoglia lo spettatore a guardarsi nella coscienza e a capire se sta vivendo veramente.
Il tema della memoria è trattato in modo sensibile e originale attraverso il personaggio di Smith, aspirante meteorologo, che raccoglie ricordi e insieme testimonianze meteorologiche delle persone: ci mostra come ciò che è passato rimanga sempre con noi nella nostra memoria, con tutti i suoi molteplici particolari. Non auguro a nessuno di riguardare il film della propria vita trascorsa, rendendosi conto di non aver vissuto davvero, fino in fondo, per quello che si è. E vivere per davvero include dei rischi, ma anche momenti di grande entusiasmo e di speranza.
Questa storia può essere interpretata anche come un invito al mondo degli adulti, invito che direbbe all’incirca così: signori, quando avete a che fare con un giovane, fermatevi e osservate, prima di giudicare. Ogni giovane ha un talento, nascosto dentro di sé, e non ha senso imporgliene uno di qualcun altro: solo guidandolo alla scoperta di quel talento, di quel desiderio, lo si aiuterà a essere una persona completa. Laddove non si dà ascolto e voce a questo tesoro nascosto, nascono allora frustrazioni, aggressività, i gesti folli o la piccola morte quotidiana della noia.
Su questo e altri aspetti fa riflettere una storia di follia, di coraggio e di necessità: vale la pena di rischiare, laddove sia necessario per la pienezza delle nostre vite?
L’ambientazione non scontata apre la mente dello spettatore a scenari inconsueti, lo prende alla sprovvista e lo immerge totalmente nel racconto.
Balasso è riconoscibile a volte nella sua cifra peculiare, che viene messa misuratamente al servizio del personaggio adorabile che porta in scena. Tutti e tre i protagonisti risultano adorabili come figure umane: nelle loro debolezze e passioni, nell’ironia e nella taciuta drammaticità. Una perla testuale il racconto interpretato dalla Fabbris: a mo’ di messaggero greco, una signora, fino a quel momento soltanto sentita nominare, racconta la fine della vicenda, arricchendola di considerazioni personali sulla vita.
Smith & Wesson è un affresco della condizione umana, vista con la lente di una vicenda originale: l’uomo colto nelle sue piccole manie e piccoli piaceri, nei grandi slanci e nelle paure, che ci chiudono in piccoli spazi bui, nelle speranze e nei momenti di follia.