Traduzione di: Ada Salvatore
Adattamento di: Fausto Paravidino
Scene: Laura Benzi
Costumi: Sandra Cardini
Suono e video: Daniele Natali
Aiuto regista: Maria Teresa Berardelli
Luci: Alessandro Macorigh
Foto di scena: Simone Di Luca
Regia: Fausto Paravidino
Produzione: Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Interpreti: la Compagnia del Teatro Stabile del Friuli
Con Riccardo Maranzana (il padrone di casa), Maria Grazia Plos (la padrona di casa), Adriano Braidotti (il consigliere), Lara Komar (la signora del consigliere), Francesco Migliaccio (il vecchio dottore), Ester Galazzi (la baronessa), Filippo Borghi (un giovinotto), Andrea Germani (un capitano), Francesca De Benedittis (cameriera)
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Buono l’impatto visivo. La scena precisa e puntuale. Ci si sente subito bene, come invitati ad una cena. Il pavimento prolunga l’effetto delle pareti che presentano una ricca dimora.
La vetrata di un grande salone fa da cornice ad un lungo tavolo. Una tovaglia bianca, perfetta nel suo candore mostra sulla balza, che rigida ed inamidata scende dal bordo, trasparenze nel tessuto, festoni che arricchiscono la preziosità della scena e che per effetto delle luci sembrano iridescenti, filigrana d’argento. Due candelabri e null’altro. Un breve istante di buio e all’improvviso sono tutti lì. La scena ricca di attori: è un piacere per gli occhi e un appagamento per l’intelletto affamato degli spettatori. Tanti attori, tanti personaggi, tanti possibili sviluppi di un intreccio semplice che si gonfia di colori e di voci. Risate. Tante risate prolungate, stridule e garrule delle attrici e cavernose e baritonali degli attori. I ruoli sono ben distribuiti. Nei costumi appariscenti e sgargianti le donne sono un trofeo tronfio e opulento come l’enorme cadavere squartato con un coltello infilzato nella carne finta e sanguinolenta del tacchino che fa la sua grassa figura sul tavolo. Non si mangia, la cena è già consumata ma si beve. Fiumi di bollicine che danno alla testa evaporando nel loro incessante spumeggiare nei bicchieri. L’azione è ininterrotta. La cameriera versa nei calici e entra ed esce di scena col suo cadenzato zoppicare.
Forse è lo spumante che fa allentare i freni inibitori? O un arrivo imprevisto interromperà bruscamente lo scambio formale di convenevoli e adulazioni non tanto velate?
È il compleanno del padrone di casa. Un direttore di banca invita gli amici a cena. È un anniversario speciale per lui: giunto all’apice della carriera, vuole condividere questo momento con le persone che più gli sono vicine, con le quali ha condiviso tanti momenti importanti. Prepara anche un discorso per ringraziare tutti ma, proprio mentre lo legge, arriva un ispettore di polizia che gli chiede di seguirlo in caserma… e tutto all’improvviso cambia…
Con una capacità straordinaria nel costruire dialoghi, Ferenc Molnár dipinge una società della quale la corruzione sembra il tratto essenziale: che non lascia scoperta alcuna ruota dell’ingranaggio, perfettamente oliato, entro cui la Classe Dominante si muove. Un mondo lontano dal nostro quotidiano?
«Nato nel 1878 a Budapest; 1895: studente di diritto a Ginevra; 1904: giornalista e scrittore noto; 1914: commediografo ancora più noto; 1930: vorrei ancora essere studente a Ginevra…» poco prima di morire, nel 1952, Ferenc Molnár sintetizzava così la propria vita: poche righe che danno già prova della sua abilità di scrittore, del suo spirito venato di scetticismo, ma anche del suo giocoso attaccamento alla vita.
Accenti che connotano appieno la sua ampia ed eclettica opera letteraria, che comprende romanzi, novelle, commedie teatrali, articoli giornalistici. Ungherese, Molnár appartiene giovanissimo all’ambiente bohemiènne del Caffé New York, nel cuore della capitale ed esordisce come scrittore sostituendo una propria novella alla traduzione di una di Anatole France, che avrebbe dovuto curare per un giornale. Fu un successo e da lì iniziò la sua parabola di autore. Fra i suoi maggiori successi non si può non citare il romanzo che gli assicura la notorietà mondiale, I ragazzi della via Pál del 1906, in cui racconta lo scontro fra due bande di adolescenti.
Ma è probabilmente il teatro a dargli la possibilità di esprimere appieno il talento e la fantasia. Crea commedie gustose e intelligenti, a partire dal 1902, con “Il signor dottore”, che gli vale un immediato successo di critica, per passare poi attraverso veri capolavori, come “Il diavolo” (1907) – in cui mette a confronto una moglie bigotta con i propri desideri taciuti – o “Liliom” (1909) che fonde vicende terrene e ultraterrene, una vera innovazione portata da Molnár nella struttura della commedia.
Di origini ebraiche, agli albori della seconda guerra mondiale fugge negli Stati Uniti, dove continua a scrivere e lavorare. Molte delle sue commedie – come “Il cigno”, divenuto un delicato film con Grace Kelly – sono state adattate da penne celebri, quali Tom Stoppard o Arthur Miller, per la radio ed il cinema.
«Souper – così il regista Fausto Paravidino – è una pièce interessante, minuscola, che sembra sia stata scritta adesso, non nel 1930. Mi piaceva aver a che fare con l’ambizione teatrale che c’è nel testo di vedere un po’ di gente sul palcoscenico e l’umiltà di raccontare una cosa assolutamente non pretenziosa, una storia che fila come una barzelletta. È un lusso poter fare questo tipo di teatro, che non si fa più. Di solito si vede il contrario. Si vede una persona da sola sul palcoscenico che racconta qualcosa di terribilmente pretenzioso. Invece a me piaceva questa semplicità».
Grottesco assurdo e comico come tutti gli eccessi, fulmineo nella sua brevità, tratteggia con battute taglienti e incisive il quadro di una società che sembra essere arrivata fino a noi, senza alcuna modifica né miglioramento.
«L’attualità è nel testo e non credo che vada particolarmente forzata – commenta infatti il regista – perché l’attualità vera a teatro annoia: vederla in scena ti fa assistere a qualcosa di già vecchio… Invece è più divertente trovare l’attualità nei testi scritti tanto tempo fa: si fa il percorso inverso».
È tutto eccessivo, ridondante, traboccante come la collana della padrona di casa, esagerato, intemperante, sfrenato come lo spacco vertiginoso della moglie del consigliere, che con uno sconsiderato, ma voluto accavallamento di gambe appoggiate al tavolo accontenta i desideri più nascosti del pubblico maschile nulla tralasciando all’immaginazione, smodato come la pancia dello stesso consigliere, opprimente come le perle della baronessa che sembrano uno strumento di tortura per allungare il collo, forzato come la cameriera zoppa che accentua allo sfinimento (del pubblico) la sua menomazione. Ogni suo movimento dura un’eternità che crea un contrasto stridente con la velocità degli altri. I ricchi sono perfetti nella forma esteriore e la classe inferiore deve necessariamente mostrare i propri difetti per evidenziare il divario. Ma sguardi intensi e gesti bloccati (nel fermo immagine) segnano anche un linguaggio non verbale che sottolinea una diversa interpretazione della realtà dipinta nella sua opulenza.
Bravi gli attori. Convincenti nell’interpretazione esagerata voluta dal regista.
Come un fumetto (sull’alto della parete vengono proiettate frasi scritte, come in una nuvoletta, a commento delle azioni) appare divertente e veloce. Arriva alla fine in un battito di ciglia e non consente momenti di noia.
Applausi e clima festoso. La Compagnia dello Stabile è molto seguita ed apprezzata dal pubblico triestino.