I Doors arrivano al Teatro Tertulliano, come perfetta conclusione, uno spettacolo che è una festa e un viaggio profondo, tra chitarre dal vivo e stupende baccanti si fa strada una voce soave e talvolta dura, primitiva, le cui parole appaiono mistiche ma così chiare e naturali da essere purezza nella confusione, Verità. Ci si trova davanti Jim Morrison, o forse Dioniso stesso, e l’ambiguità tra questi due personaggi si effonde in tutta la scena, cosicché è inevitabile lasciarsi travolgere dalla loro luce, che ci porta in un viaggio nella nostra interiorità, che trova una logica nel delirio e nell’ebbrezza, e quelle tanto contemplate Porte della Percezione si aprono, laddove non c’è sipario.
Più che un parallelismo, in effetti, tra il mondo del teatro greco e la fantastica spettacolarità della musica degli anni ’60 e ’70 c’è una fusione, un’ambiguità, un binarismo che rappresenta ciò che è più vero, eternamente, nell’umano; e ambiguamente siamo spettatori, suonatori, e baccanti, siamo la voce che a volte pare di sentire nel vento, se quando apriamo vicendevolmente le porte interne a quelle esterne, in assoluta libertà, sappiamo di essere energia dell’Universo, che nel nostro piccolo qualche volta riflettiamo.
Le musiche dal vivo, con le chitarre e le voci di Stefano Capra ed Enrico Ballardini, sono riadattate da Nelson Mallé Ndoye, e, accompagnate dalle magnifiche danze di Alessia Semprebuono e Michelangiola Barbieri Torriani, ci accolgono tra le loro note e ci portano a fare un giro nel tempo e nell’interiorità con la semplicità un po’ caotica della poesia. I testi, di Gianfilippo Maria Fassina, sono meravigliosi, tanto che potrebbero bastare in alcune parti dell’opera a renderne appieno il fascino e la magia. Il progetto e la regia sono di Giuseppe Scordio, che con questo attesissimo spettacolo ha dimostrato di nuovo la sua passione e la sua professionalità.
Grazie Dioniso, grazie Jim, e grazie teatro Tertulliano, per quest’ultimo splendido regalo.