Musica Pëtr Il’ič Čajkovskij
Coreografia Marius Petipa e Lev Ivanov
Messa in scena e integrazioni coreografiche Alexei Ratmansky
Direttore Michail Jurowski
Scene e costumi Jérôme Kaplan
Luci Martin Gebhardt
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All’interno di una stagione poco brillante per titoli e riprese, il Lago dei cigni di Alexei Ratmansky conclude tra gli applausi il Balletto del Teatro alla Scala prima della pausa estiva: una nuova versione del titolo classico per antonomasia realizzata in coproduzione con L’opera di Zurigo, che prende il posto di quella di Rudolf Nureyev da anni in repertorio al Piermarini.
Raccontandoci le vicende della fanciulla cigno Odette – Odile, dell’amore del Principe Siegfried e dell’incantesimo del Mago Rothbart, Ratmansky conduce un’operazione di grande spessore e contenuto, riportandoci all’essenza originaria del balletto firmato da Marius Petipa e da Lev Ivanov nel 1895. Fonte privilegiata dell’operazione è la notazione di Valdimir Stepanov tramandata nei quaderni conservati all’Università di Harvard. Ma il lavoro non si ferma qui: laddove la notazione risulta mancante o lacunosa, Ratmansky attinge a foto, filmati e materiali d’archivio al fine di restituire non una mera ricostruzione dei passi ma l’essenza profonda di uno stile, oggi adattato all’evoluzione della danza e alla nuova tecnica e fisicità dei ballerini.
Uno stile che è una pura perla di eleganza, in perfetto equilibrio tra tecnica e classe: i passé si fermano alla caviglia, le linee sono morbide e le estensioni mai al di sopra dei 90°. Veri punti di forza le batterie e la velocità dei piccoli passi, in pieno stile Cecchetti – si ricordi che protagonista del primo Lago era la ballerina italiana Pierina Legnani.
Grande importanza assume la pantomima, motore fondamentale di sviluppo della trama e del carattere dei personaggi. Ratmansky ancora una volta ci riporta all’origine, recuperando alcune scene tagliate nel corso del XX secolo ed eliminando il port des bras che imprigiona le ragazze – cigno, proprio perché assente nella prima versione di Petipa – Ivanov. Questo a vantaggio del tono umano della composizione, ulteriormente enfatizzato dalle scene e dai costumi di Jerome Kaplan: emblematica in tal senso la papalina che copre il capo delle fanciulle, mentre un lungo boccolo cade dolcemente sulla spalla incorniciando il volto.
Per rappresentare questo gioiello del balletto, il Corpo di Ballo scaligero gioca con le sue sole forze, senza richiamare artisti internazionali. Brilla il primo cast con Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. Manni ha regalato una delle performance migliori di sempre, tanto lirica e delicata Odette, quanto seducente e sicura nei virtuosismi di Odile. Il suo Principe non è stato da meno, con ottima elevazione e straordinaria teatralità.
Applausi anche per la coppia Vittoria Valerio – Claudio Coviello, altrettanto valida tecnicamente anche se più pacata a livello interpretativo. Ottima prova per l’intero corpo di ballo, decisamente a proprio agio nei quadri d’insieme (sia alla corte sia sulle rive del lago) e nei ritmi coinvolgenti delle danze di carattere del secondo atto, supportato dagli allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala guidata da Frédéric Olivieri.
Come già per La Bella Addormentata della scorsa stagione, anche per questo Lago Ratmansky ha messo la sua straordinaria capacità artistica al servizio della partitura di Čajkovskij, interpretata mirabilmente dal Maestro Michail Jurowski.
Recensione di Letizia Cantù