Quinto e ultimo titolo della stagione areniana, Il Trovatore di Giuseppe Verdi in questo allestimento di Franco Zeffirelli ripreso più volte negli ultimi anni, mantiene vivo il suo splendore estatico e sorprendente allo stesso tempo, con una scenografia maestosa, arricchita dai bellissimi costumi di Raimonda Gaetani, dall’utilizzo massiccio di comparse, ma anche di cavalli in scena e duelli con le spade.
Si perdonano quindi facilmente al Maestro (che ha compiuto quest’anno 93 anni!), alcuni aspetti un po’ vetusti della regia, che oggi sembrano superati, come le sbracciate dei cantanti al centro scena o la ricerca quasi assente della psicologia dei personaggi. Nel complesso si apprezza quindi una classica, “faronica”, rappresentazione areniana, che a molti può non piacere, ma resta di una bellezza indiscutibile nel pensiero che l’ha creata e nel complesso colorato di scene, costumi e arredi scenici.
Questa prima, però, non è stata purtroppo all’altezza del palcoscenico che l’ha ospitata.
Il senso di meraviglia suscitato dalle scene splendidamente gotico-medioevaleggianti e l’utilizzo di “effetti speciali” da colossal holliwoodiano come cavalli, file incolonnate di comparse incappucciate e munite di lumi accesi, perfino l’apertura della grande torre centrale che si schiude in una magnifica chiesa gotica dorata e affrescata, non hanno saputo salvarci completamente da un’esecuzione mediocre, che ha lasciato un senso di amaro in bocca e diversi dubbi sulle scelte del cast.
La direzione di Daniel Oren è stata nel complesso energica, precisa e in linea con quanto ci si potrebbe aspettare da un’esecuzione verdiana in un contesto come l’Arena, anche se non ha mancato in alcuni passaggi di perdere l’equilibrio con il palco, sovrastando i cantanti già in difficoltà.
Il Manrico di Marco Berti, è stato un continuo di scivoloni pesanti sull’intonazione (di quelli che fanno saltare sulla sedia), difficoltà sulle tonalità più alte, fiati faticosamente sostenuti: una pena dall’inizio alla fine, che ha trascinato purtroppo anche la collega Hui He – quasi irriconoscibile dalla soprano che abbiamo avuto modo di apprezzare in altri ruoli – in un vortice di errori e difficoltà che preferiamo non dilungarci a descrivere.
Fortunatamente, a controbilanciare le problematiche dei protagonisti sono intervenuti un bravissimo Artur Rucinsky, nel ruolo del Conte di Luna, che ha sfoggiato tessiture godibili in tutte le tonalità e in tutti i fiati e una sensibilità interpretativa arrivata anche nelle sfumature più sottili, incantando soprattutto nelle parti da solista, e una meravigliosa Violeta Urmana nel ruolo di Azucena, con voce potente, precisa nell’intonazione, nel fraseggio ed espressivamente apprezzabile anche nell’interpretazione di un ruolo così sfaccettato come quello della zingara.
Bene anche il Ferrando di Sergey Artamonov, la Ines di Elena Borin e il Ruiz di Antonello Ceron.
Qualche riga a parte la meritano il corpo di ballo, preparato da Gaetano Petrosino e le scene in armi, curate da Renzo Musumeci Greco: se la regia prevede 5 cavalieri che agitano delle spade con movimenti sincroni, ci si aspetta che questi movimenti siano effettivamente sincroni, così come le danze degli zingari, che vengono effettuate a gruppi, si suppone debbano seguire lo stesso ritmo, oltre che la stessa coreografia.
Anche il coro, preparato dal maestro Vito Lombardi, non ha offerto al pubblico una performance eccellente, quanto meno non all’altezza di altre prime viste in Arena durante questa stagione.
Gli applausi a fine spettacolo sono arrivati comunque per tutti, anche se non calorosi come al solito, in un’Arena decisamente non gremita, con un pubblico che sembrava più impaziente di avvicinarsi all’uscita che interessato ad omaggiare gli interpreti. Un peccato, perché l’opera e l’allestimento avrebbero meritato ben altro finale.
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Il trovatore, opera in quattro atti di Giuseppe Verdi
Libretto di Salvatore Cammarano
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Personaggi e interpreti:
Il Conte di Luna: Artur Rucinsky
Leonora: Hui He
Azucena: Violeta Urmana
Manrico: Marco Berti
Ferrando: Sergey Artamonov
Ines: Elena Borin
Ruiz: Antonello Ceron
Un vecchio zingaro: Victor Garcia Sierra
Un messo: Cristiano Olivieri
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Direttore: Daniel Oren
Regia e scene: Franco Zeffirelli
Costumi: Raimonda Gaetani
Coreografia: El Camborio, ripresa da Lucia Real
Maestro d’armi: Renzo Musumeci Greco
Maestro del Coro: Vito Lombardi
Coordinatore del Corpo di ballo: Gaetano Petrosino
Direttore allestimenti scenici: Giuseppe De Filippi Venezia
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La recensione si riferisce alla recita di sabato 6 agosto.
Prossime recite: 10, 13, 26 agosto 2016.