Con La Cattedrale Sommersa, Chiara Guidi prosegue nel solco della sua ormai lunga e meritoria ricerca sulla voce, ove il teatro si fa strumento di perlustrazione e di scoperta. Il titolo del lavoro riprende l’immagine centrale di un romanzo – non fra i più popolari – di Philip K. Dick, il geniale romanziere statunitense, autore di tanti intrecci distopici da cui Hollywood ha saputo elaborare pellicole gloriose, oltre che fortunate (da Blade Runner a Minority Report).
Tuttavia, lo spettatore che si appresti ad assistere a La Cattedrale Sommersa troverà frustrata ogni attesa fantascientifica, per altro impropria rispetto agli effetti di cui è titolare il teatro e che riscoprono tutta la loro pienezza tramite un lavoro come quello proposto da Chiara Guidi.
Va subito specificato che non siamo di fronte all’adattamento de Il Guaritore Galattico di Dick, né alla rappresentazione o elaborazione di una delle sue parti. L’idea stessa di rappresentazione viene meno, in un lavoro che però non punta affatto sullo spaesamento provocatorio. Lo spettatore de La Cattedrale Sommersa è investito dal primo all’ultimo minuto da un flusso di segni estremamente densi, che denotano fuori da ogni dubbio la presenza di un lavoro complesso e profondo.
I segni cui si fa cenno sono prettamente sonori e corporei, e la composizione che essi assumono comunica sia la profondità dell’elaborazione (in termini di scelta del gesto, del tono o del tempo) che la freschezza dell’improvvisazione (intesa come valore dell’inedito), con il risultato di una alchimia assolutamente peculiare.
L’azione è corale, integralmente intrecciata con la partitura vocale che gli attori sviluppano, ed i momenti di assolo sembrano quasi giocare a mascherare il singolo interprete più che a ritagliargli una cornice o a fungere da piedistallo.
Ma il tratto più distintivo de La Cattedrale Sommersa è che si presenta più come un’esperienza, per lo spettatore quanto per l’attore, che non come spettacolo tout court, eppure al contempo si tratta di un lavoro dotato di una sua formalità completa, tale da renderlo fruibile anche sul piano meramente estetico. L’azione viene concentrata in venti minuti di forte impatto sensoriale (si entra in una dimensione di visibilità completamente diversa rispetto a quella dell’esperienza ordinaria, solo per nominare l’elemento più manifesto) e si ripete per tre volte nell’arco della serata, per quelle che però non sono semplici repliche di una medesima performance. Lo spettatore che entra nel primo turno assisterà ad un prova che varierà – più o meno sensibilmente – rispetto a quella che andrà in atto nel secondo e nel terzo, e laddove possibile è interessante assistere a più di un turno per apprezzare l’arcana sensazione di una sorta di dejà vu rovesciato.
Non a caso Chiara Guidi preferisce utilizzare la definizione di “tentativi” (primo, secondo e terzo tentativo), a sottolineare la condizione umana dell’esperienza artistica che si propone al pubblico: un doveroso salto nel buio, un atto incerto, che potrà fallire come potrà aver successo, apportando conoscenza qualunque sia il suo esito.
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CREDITS:
Ideazione e Regia: Chiara Guidi
Assistente alla Regia: Chiara Savoia
Produzione: Socìetas Raffaello Sanzio
La performance è l’esito di un lavoro laboratoriale condotto da Chiara Guidi con i partecipanti iscritti sul posto. In occasione dell’allestimento di Pescara, sono andati in scena: Carmela Caiani, Mariangela Celi, Maria Antonietta Ciarciaglini, Monica Ciarcelluti, Giorgia Console, Paolo Grazzi, Mauro Mancinelli, Rita Mosca, Olga Merlini, Alessandro Pezzali, Riccardo Santalucia, Annamaria Talone, Alessio Tessitore.
L’Evento è stato promosso da “ARTISTI PER IL MATTA”, a cura di Monica Ciarcelluti