Rielaborazione testo originale di Victor Leon/Leon Stein a cura di Bruno Stori e Maddalena Crippa
Arrangiamento musiche originali di Franz Lehàr a cura di Giacomo Scaramuzza
Con Maddalena Crippa
E con Giampaolo Bandini (chitarra), Giovanni Mareggini (flauto, ottavino), Cesare Chiacchiaretta (fisarmonica, bandoneon), Federico Marchesano (contrabbasso)
Regia di Bruno Stori
Produzione: Parmaconcerti in collaborazione con Compagnia Umberto Orsini
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D’estate, periodo in cui fioriscono le iniziative teatrali all’aperto, la provincia riserva piacevoli sorprese. La rassegna Metropolis, organizzata dal Comune di Mogliano Veneto in collaborazione con Arteven e altre realtà locali, offre l’occasione preziosa di assistere a L’allegra vedova con Maddalena Crippa. L’attrice, sulla scia delle atmosfere dei cabaret berlinesi e dei cafè chantant parigini, racconta la Lustige Witwe sfrondata da retorica e leziosaggine. Scritta da Lehàr su libretto di Victor Lèon e Leo Stein, rielaborato da L’Attacché d’ambassade di Henri Meilhac, debuttò al teatro An-der-Wien il 30 dicembre 1905. Da allora non smette di mietere entusiasmi. Il successo risiede nel fascino provocante del valzer che, a quanto si dice, “rilascia endorfine, le molecole della gioia, e combatte l’osteoporosi!” Must dei nostri nonni, che ne intonavano Es lebt eine Vilja, Wie die Weiber man behandelt o Da geh’ ich zu Maxim nella versione ritmica di Fontana, resta pietra miliare del teatro musicale, pregna com’è di melodie accattivanti.
In uno spazio sobrio, arricchito solo da qualche proiezione, Maddalena Crippa, elegante in pantalone nero e top di pizzo, è un perfetto maestro di cerimonie che intrattiene il pubblico nel suo magico locale. L’invito ad abbandonarsi a un breve viaggio nel passato, lasciando da parte i pensieri, vale la pena di essere accettato. Paradossale, ma azzeccato, ridurre la coralità della massa al dialogo tra i due amanti, posti sotto una lente divertente. Il conte Danilo diventa un irresistibile nobile dal marcato accento slavo, l’ereditiera Hanna assume invece connotati assai bamboleggianti, un po’ sciura, un po’ Barbie, tratti inconsueti se pensiamo a come ce li consegna la tradizione lirica. Alternando frammenti del libretto a celebri arie, senza tralasciare il Grisettenlied, Crippa dimostra una predisposizione al canto, più volte sfruttata nella carriera, che la vuole ottimo contralto. Più impervie rimangono le vette dell’acuto, ma non siamo all’opera e lo scarto tra i generi è giustificato. La partitura gestuale pensata da Bruno Stori e ben assimilata dall’attrice diventa armoniosa quanto la musica stessa e l’ascolto della narrazione, con quella provvisoria cadenza ibrida da poliglotta asburgica, non è altro che puro piacere. Quando, seduta su uno sgabello Thonet, chiude cantando Tace il labbro, prima in italiano e poi in tedesco, il pensiero corre commosso alla grande Milva di cui la voce di Crippa, per intensità e colori, è senza dubbio erede.
La bellezza degli arrangiamenti di Giacomo Scaramuzza risplende grazie al talentuoso quartetto, composto da chitarra, fisarmonica, flauto e contrabbasso, in quell’aurea mista da tabarin e pavilion tirolese che la Piazzetta del Teatro di Mogliano ricrea efficacemente.
Applausi da parte del pubblico scarso, ma omaggiante con calore una grande artista.