Marco Ferrini nel 1986 inizia gli studi di danza alla scuola di “Balletto Liliana Cosi e Marinel Stefanescu” dove dopo soli tre anni si diploma ballerino professionista ed entra a far parte della stessa Compagnia. In breve tempo ricopre ruoli solistici e di “Primo ballerino” danzando in coppia più volte con Liliana Cosi, toccando paesi come il Giappone, Stati Uniti, Cina, Costarica, Libano, Romania con un repertorio classico e neoclassico, tra cui Don Chisciotte, Corsaro, Raymonda nonché coreografie del maestro Stefanescu. Nel 1993 è ospite al “Balletto di Basilea” sotto la direzione di Youri Vamos danzando la sua versione di Spartakus, La bella addormentata, Coppella, Lo Schiaccianoci. In questo periodo danza anche per una breve parentesi all’Arena di Verona. Nel 1994 entra stabile al teatro di Dortmund in Germania con la direzione di Ralf Rossa ed amplia le sue esperienze attraverso diversi stili coreografici contemporanei del calibro di William Forsythe e Roy Horta. Oltre che danzare sempre ruoli come Primo Ballerino in nuove produzioni tipo “L’uccello di fuoco”, “La sagra della primavera”, “Giselle”, “La fille mal gardé”, nel 1995 è anche ospite al teatro di Bonn sotto la direzione di Valery Panov danzando come solista la sua versione del “Don Chisciotte”. In questo anno incomincia a interessarsi all’insegnamento sia come Maitre de ballet che come coreografo creando, per una serata dedicata a giovani coreografi a Dortmund “Memories” riscuotendo consensi. Nel 2000 rientra in Italia a Reggio Emilia come ballerino nella compagnia di “Liliana Cosi e Marinel Stefanescu” ricoprendo successivamente il ruolo di assistente “Maitre de ballet” della compagnia e della scuola di balletto, preparando alcuni allievi al prestigioso Concorso di danza di “Jacksonville” (Stati Uniti). In questo periodo si dedica anche alla creazione di diversi spettacoli di danza ricercando un suo personalissimo stile che affonda nel classico fino ad arrivare al contemporaneo. Sono sue creazione “Pictures”, “La scala di pietra”, “Carmen”, “Il gatto con gli stivali”, “Carmina Burana”, “Anime libere” e una nuova versione del “Corsaro”. Nel 2007 vince il secondo premio al concorso di Firenze “Expression” con un passo a due e da vita insieme a sua moglie Maura Cantarelli (anche lei già Prima ballerina e docente presso la scuola Cosi-Stefanescu) alla “Carpe diem dance” con sede al teatro di Fabbrico (RE) al fine di promuovere la danza come spettacolo ed evento avvalendosi di danzatori non professionisti. Nel 2008 lascia le scene in veste di danzatore e si dedica interamente all’insegnamento della danza classica accademica, moderna e contemporanea. Nel maggio del 2010 mette in scena “Il racconto d’inverno” di William Shakespeare, collaborando con gli attori del gruppo teatrale “Metamorfosi” allestendo insieme a Marco Merzi la regia e coreografia. Nel settembre 2010 partecipa alla rappresentazione de “Il Rigoletto a Mantova” con personaggi come M. Bellocchio, P. Domingo, Z. Mehta, V. Storaro. Nell’aprile 2016 ha tenuto uno Stage sostenuto dalla comunità Europea a Belgrado in Serbia presso la “Belgrade Dance Foundation” con la direzione di Aja Jung (organizzatrice del “Belgrado dance Festival”). Maestro ospite presso “Fondazione Nazionale della danza” a Reggio Emilia (Aterballetto). Maestro stabile presso diverse realtà coreutiche sparse sul territorio e membro di “WDA Europe”.
Per iniziare Marco, apriamo il libro dei ricordi: quando è nata la tua passione per l’arte della danza?
Fin da piccolo sentivo l’esigenza di muovermi sulla musica tanto che crescendo, frequentavo le cosiddette “discoteche” con gli amici. Spesso mi ritrovano solo a danzare in mezzo alla sala creando imbarazzo per alcuni e stupore in altri. Un famoso Dj nella mia zona mi vide e mi propose di animare le serate con la sua musica. Divenni ben presto anche un breaker girando per le varie città (erano gli anni Ottanta allora l’hip hop era agli esordi) gareggiando in alcuni contest e respirando l’aria della “street dance” delle grandi metropoli.
Mi racconti l’ingresso e gli anni di formazione trascorsi nella celebre Scuola dei maestri Cosi-Stefanescu?
Arrivai a Reggio Emilia nell’ottobre del 1987. Ho incominciato a studiare danza classica qualche mese prima e le mie nozioni erano scarse. Passai comunque l’esame d’ammissione, con riserva, e fui catapultato nella vera danza. Marinel e Liliana mi offrirono la possibilità di frequentare la scuola unendomi al cosiddetto corso “Maschi Junior” tenuto dal Maestro Giga Matei (romeno e adorabile uomo) forse perché videro la mia grande determinazione. Ormai adulto mi trovai con ragazzi più giovani (14-15 anni, mentre io ne avevo compiuti 18) dotati e con molte più conoscenze ballettistiche di me e non mi rimase altro che “assorbire come una spugna”. Questa è stata la mia fortuna, perché avendo dei promettenti futuri ballerini al mio fianco, il mio senso d’orgoglio fece sì che dopo un anno incominciai a frequentare le lezioni con la Compagnia (pur continuando con il regolare corso le varie materie di studi: passo a due, carattere, repertorio, storia e teoria sia della musica che del balletto). Dopo due anni di danza entrai a far parte della Compagnia, dopo tre anni di studi mi diplomai “Ballerino Professionista” (penso di essere stato l’unico allievo in tutta la storia della scuola diplomatosi in soli tre anni). Durante il quarto anno di studio debuttai come “Primo Ballerino” al teatro Romano di Verona accanto a Liliana Cosi sostituendo Marinel Stefanescu a causa di un suo infortunio (fu un’esperienza indimenticabile danzare con la grande étoile Cosi ricoprendo il ruolo del mio maestro Stefanescu). Da quel momento in poi partì la mia vera carriera.
Che sentimenti di gratitudine nutri verso Liliana Cosi e Marinel Stefanescu?
Devo dire che in particolare il Maestro Stefanescu, ai tempi, non aveva un carattere semplice però possedeva grande sensibilità artistica e umana e assoluta conoscenza del Balletto. L’étoile Liliana Cosi aveva un forte carattere, determinazione e sensibilità. Nutro per entrambi stima e rispetto e gli sono, naturalmente, grato. Molti danzatori sono passati nella loro celebre Scuola e Compagnia e in pochi li hanno realmente capiti!
Quali sono stati i loro maggiori insegnamenti?
Diciamo che ho “rubato il mestiere”… con loro ho imparato ad andare più in profondità nella danza e non solo: un buon maestro ti insegna a vivere e mediante la danza ho imparato questo concetto. Ballerini si “è” non si “appare” ma ciò che più conta è l’essere “artisti”.
Quali sono i ricordi legati al periodo della Scuola di danza? Chi erano i tuoi compagni di corso a cui sei rimasto legato e i docenti che hanno influito positivamente in vista del diploma?
Ricordo anni duri perché in contemporanea mi iscrissi alle superiori conseguendo il diploma di Perito Industriale e non è stato semplice studiare bene su due fronti. I miei compagni sono stati Maurizio Drudi, Piergianni Manca, Simone Milani, Francesco Tagliabue e naturalmente in seguito i componenti della Compagnia, tutti eccellenti ballerini. Il mio primo Maestro è stato Giga Matei ed è stato lui a portarmi al Diploma, uomo di grande spessore umano, nonché il M° Cotovela, il M° Matescu, il M° Popescu e soprattutto il M° Stefanescu al quale sono rimasto legato attraverso un filo invisibile con l’unico scopo di fare della vera e buona danza, spesso ci sentiamo ancora, confrontandoci.
Hai danzato come artista ospite nella Compagnia Cosi-Stefanescu in prestigiosi teatri e Compagnie. Tra le tante serate ed esibizioni quale ti è rimasta maggiormente nel cuore?
Sono stato ballerino stabile della compagnia Cosi-Stefanescu danzando tutto il loro repertorio da Corpo di Ballo, Solista a Primo Ballerino con tournée in tutto il mondo. Poi nel 1990 lasciai la Compagnia e insieme alla mia ragazza, in seguito moglie Maura Cantarelli (anche lei ottima professionista e prima ballerina) ci trasferimmo a Basilea sotto la direzione di Youri Vamos. In seguito mi stabilii a Dortmund e lavorai come ospite a Bonn e a Berlino. Di serate ne ricordo tante, ma una su tutte mi viene in mente. Fu quando danzai il Terzo Concerto di Sergei Rachmaninoff su coreografia di Stefanescu in qualità di primo ballerino e respirai una ventata d’aria pura. Le note musicali e i passi si fondevano lasciando libera l’anima artistica che era in me. Una sensazione unica nel sentire, dare e ricevere: pura “emozione”. Lì capii la profondità dell’arte del Balletto.
In seguito sei stato anche Primo Ballerino all’Oper der Stadt Bonn. Cosa ricordi di quel periodo?
A Bonn danzai in qualità di opiste per Valery Panov nella sua versione del “Don Chisciotte” al fianco di eccellenti solisti. Ero già primo ballerino stabile al teatro dell’Opera di Dortmund. Ricordo modi di concepire la musica e la danza in maniera differente, anche grazie a scelte coreografiche le quali mi hanno dischiuso l’orizzonte artistico, senza dimenticare le numerose esperienze dal classico al contemporaneo più estremo con coreografi di estrazione e stili differenti.
Che differenze hai notato a livello organizzativo e culturale tra la danza in Italia e in Germania?
Che dire, in Germania ci sono molte più risorse di conseguenza più possibilità di creare e avere per i danzatori un sostegno adeguato. Tutto è organizzato (fin troppo direi) tanto che si perde l’autenticità della performance; a volte danzando lo stesso spettacolo per centinaia di serate mi sentivo “in fabbrica” perdendo quasi la dimensione di quello che eseguivo. Chiaramente ne acquistai in sicurezza tecnica. In Italia è più difficile fare della buona “arte” perché i mezzi a disposizione sono inferiori ma se ci riesci… avrai fatto di “necessità virtù”. Il pubblico è generalmente più attento in Germania… in Italia lo devi catturare maggiormente.
Mentre i momenti più importanti ed emozionanti della tua carriera come li vorresti condensare in poche parole?
Passione, follia (in pochi avrebbero lasciato casa e affetti per una professione tutta da costruire ormai quasi adulto), sensibilità, formazione, tenacia, sacrificio, curiosità, intraprendenza.
Ci sono stati anche momenti bui? Magari nei quali hai pensato di mollare tutto?
Momenti bui ce ne sono stati diversi. Cambio di città, nazione, affetti e colleghi, lasciare il certo per l’incerto, infortuni vari, la transizione da danzatore a maestro. Ma non ho mai pensato di mollare tutto… anche perché guardandomi intorno non ritenevo giusto che io uscissi di scena in questa nobilissima arte.
Quando hai deciso di lasciare il palcoscenico in veste di danzatore e dare l’addio alle scene? E come e dove è avvenuto tutto ciò?
Ho deciso di lasciare le scene all’età di quarant’anni, non perché questo sia il limite per ognuno ma era il mio limite. Ormai il corpo non rispondeva più come volevo e non desideravo trascinarmi sul palcoscenico. Sentivo di avere le energie sufficienti e necessarie per convertire le mie esperienze nell’insegnamento e nell’arte coreografica. Il mio “passo di addio” alle scene è avvenuto senza particolare enfasi, non ricordo nemmeno il teatro. Tutto molto naturale, sapevo in cuor mio che sarebbe cominciata un’altra carriera parallela ma non uguale a quella del danzatore dove non sei più tu in prima persona, mai i tuoi allievi o ballerini ad esprimere il tuo essere. Un dare per poi ricevere, in cui il passaggio è più lungo e irto di ostacoli, dove devi trasformarti anche in psicologo, motivatore e aprirti alla comprensione del prossimo per ottenere dall’allievo, a suo modo, quello che noi maestri vogliamo al fine di comprendere la correttezza della forma per giungere all’optimum della sostanza.
Come ti sei accostato alla coreografia?
Durante una serata a Dortmund, il direttore chiese chi avesse il desiderio di coreografare un pezzo e io mi feci avanti insieme ad altri tre colleghi. Avemmo a disposizione circa quindici minuti e realizzai una coreografia su musica di autori vari, mixate insieme, con un mio stile coreografico personale che fu apprezzatissimo dal pubblico tedesco oltre alle parole di stima e riconoscimento dei miei colleghi. Ci tengo a sottolineare questo, perché spesso in fase di transizione da ballerino a coreografo, i colleghi ti mettono i bastoni tra le ruote.
Da dove trai la tua ispirazione creativa?
Principalmente dalla musica, anche se devo ammettere, soprattutto adesso, da qualsiasi pensiero o accadimento. Possono essere situazioni tra individui: grottesche, comiche, sentimentali ed emotive. Oppure semplicemente ammirando la natura… o riflettendo sull’essere umano.
A quale tuo balletto sei maggiormente legato e perché?
Ora come ora sono reduce dall’allestimento sia come coreografo che registico dell’Odissea di Omero. Chiaramente il titolo è stato cambiato in “Da Itaca a Itaca”. Mi sono addentrato nel vero significato di quest’opera ricercando proiezioni, musiche e scelte coreografiche che potessero soddisfare il senso, da me percepito, di questo epico poema. Per quanto riguarda un “balletto” in particolare è difficile. Tutti i balletti da me creati sono scaturiti in momenti particolari con danzatori giovanissimi che ho tirato su a “chicchi di granturco”, ai quali ho dato e sto dando tutto me stesso.
Mentre dei ruoli da te danzati?
Oltre ai vari balletti del M° Stefanescu, ricordo in particolare “Concerto”, che ho citato prima in cui il protagonista l’interprete cerca mediante la tecnica ovvero l’arte di fondersi in un connubio indissolubile. Ricordo con piacere anche “Vatek” al teatro dell’Opera di Dortmund su musiche di Dimitrij Sostakovic e coreografia di Youry Vamos, ispirato al ritratto di Dorian Gray: mi sono addentrato in un negativo mondo narcisistico con un finale che tutti sappiamo. È stato molto interessante e suggestivo danzarlo.
Chi sono i ballerini odierni, sul piano internazionale, a cui riconosci l’eccellenza, sia maschile sia femminile?
Ce ne sono tanti, tutti eccellenti danzatori ed artisti, oltre ai mostri sacri quali Misha, Makarova, Guillem. Nutro grande ammirazione per Leonid Sarafanov e Polina Semionova nonché per il nostro Roberto Bolle.
E dei nuovi coreografi a chi vuoi dedicare una lode?
Dei nuovi non mi vengono in mente nomi così esaltanti, ma se devo dire chi sono i miei coreografi preferiti direi oltre ai grandi classici, quali Petipa e Lavrovskij eccetera, Jiri Kylian spicca su tutti, il quale ha segnato un punto di non ritorno tra la concezione della danza rinnovando il classicismo ed evolvendolo in post classicismo contemporaneo.
Oggi sei uno stimato maestro, cosa consigli ai giovani che desiderano entrare a far parte del mondo della danza?
I tempi sono cambiati i giovani oggi possono usufruire di molte informazioni ma essere ballerino e aspirare al ruolo professionale necessita di percorso complesso e lungo. La danza è un qualcosa di pura emozione… mai dimenticarsene, lo studio della tecnica classica e moderna-contemporanea è un mezzo che richiede tenacia, intelligenza e pazienza senza scordarsi che la tecnica può essere lo strumento primario per esprimersi totalmente. Auguro ad ogni mio allievo, indipendentemente se diventerà ballerino/a, di non dimenticarsi le ore passate in sala danza tra rigore e disciplina che lo aiuteranno sempre nella vita, possedendo una marcia in più.
Ti piace insegnare? Ma soprattutto come si può riconoscere un buon docente?
Sì mi piace molto insegnare e non esiste un buon Maestro se non ci sono buoni allievi, credo che sia molto importante trasmettere alle generazioni future la bellezza della danza cercando di divenire “esseri” migliori sia nella mente che nel cuore, di conseguenza anche il fisico assumerà questo cambiamento. Essere un buon docente è trovare il giusto equilibrio fra me e i miei allievi, riuscire a fargli sentire quello che io percepisco attraverso quello che loro sentono, proprio perché quando non ci sarò più, l’allievo possa continuare da solo ricercando quei maestri e coreografi che lo aiutino a maturare ulteriormente. Si può conoscere tanto ma se non si trova la maniera di trasmetterlo agli allievi il Maestro perde il suo ruolo. Per un buon docente è assai importante aver avuto una vera carriera alle spalle, ma se non si è capaci di trasmettere quello che hai provato in scena egli rimarrà un buon didatta. Non tutti i grandi ballerini possono insegnare altrettanto bene come quando danzavano e ancor più raro e difficile insegnare senza aver provato il “palcoscenico”.
Che tipo di esperienza è stata in Serbia al “Belgrado dance Fondation”?
Aja Jung, la direttrice del “Belgrado dance Foundation”, nonché organizzatrice del prestigioso “Belgrado dance Festival” rinomato in tutto il mondo è una cara persona, molto energica, forte e determinata nonostante le problematiche del paese in cui si trova. Anche lei ex danzatrice professionista con una valida carriera alle spalle mi contattò per entrare a far parte della sua scuola come “capo docenti” ma le condizioni di varia natura non hanno permesso questa unione. Ci sono tornato recentemente tenendo una settimana di stage finanziato dalla comunità europea. È stata una piacevolissima settimana di full immersion dove ho tenuto classi di vari livelli di danza classica, con l’allestimento di una mia coreografia “Bach in Concert”. Mi sembra che gli allievi siano rimasti contenti e anche Aja, speriamo ci possa essere un seguito… Vedremo. Ho potuto assistere, in quel periodo, a vari spettacoli del Festival con compagnie favolose ed è stato tutto estremamente interessante.
C’è ancora un tuo sogno nel cassetto da realizzare?
Che dire un sogno c’è sempre ma non dipende solo da me. Spesso sono le circostanze e i giusti agganci. Fino ad ora non si sono presentati o forse non me ne sono accorto… vedremo, preferisco tenermelo dentro! Sono comunque appagato e contento di quello che ho fatto e che sto facendo.
Per concludere un tuo pensiero per definire al meglio la nobile arte della Danza?
La “Danza” è quella sensazione eterea ed evanescente di tentativi… mediante i quali, tramite lo studio della perfezione, il corpo oggetto e soggetto, diviene strumento di elevazione spirituale.