«Il sogno era destinato a finire, ma non quel suo amore. Nel nuovo sogno un senso continuava. Cosa ha voluto dire, con questo, Calderón?» Con questo interrogativo Sigismondo chiude il sesto episodio di Calderón.
Cosa ha voluto dire Pedro Calderón de la Barca con il suo La vida es sueño? Pasolini trae dal drammaturgo spagnolo l’ispirazione per quello che egli stesso, rispondendo a una dichiarazione del leader di “Lotta Continua” Adriano Sofri, definisce un «dramma politico». Senza entrare nel merito dello scambio di battute tra i due, si evince dalle parole di Pasolini la coscienza di una caratteristica che forse più di altre lo contraddistingue: la sua capacità di vedere il mondo come dall’esterno, di farsi osservatore obiettivo della realtà, riunendo in un’unica visione passato, presente e futuro. È forse questa sua attitudine che lo ha avvicinato in modo così intimo ad autori del passato, dai tragediografi dell’antichità agli artisti del Siglo de oro. La politicità dell’opera pasoliniana ha, certo, riferimenti all’epoca contemporanea all’autore, alla Spagna franchista, ma emerge anche e soprattutto nell’interpretazione del potere e della concezione che egli ha di esso. La protagonista Rosaura si risveglia tre volte, in tre ambienti e realtà sociali differenti, ma in ognuna c’è un Basilio, un personaggio che ha in sé qualcosa del βασιλεύς greco, la personificazione del potere. Rosaura non si riconosce nella realtà aristocratica del primo risveglio, né in quella sottoproletaria del secondo, tanto meno nella società borghese del terzo, in cui anche Basilio è in crisi. Pasolini dirà a questo proposito: «Il nostro primo rapporto, nascendo, è dunque un rapporto col Potere, cioè con l’unico mondo possibile che la nascita ci assegna». La percezione dell’autore sta nella somma delle tre Rosaure, nella coscienza profonda della condizione umana come sottomessa alle logiche di potere. Da poeta, romanziere, regista, il compito di Pasolini è cogliere la natura delle cose e raccontarle, magari condannarle, senza necessariamente trovare il modo di cambiarle. Questo gli permette, in misura ovviamente maggiore rispetto a chi si qualifica, invece, come politico o rivoluzionario, di guardare alla realtà senza esserne inquinato, di parlare di potere senza esserne colluso, di non idolatrare tutto ciò che al potere si contrappone, e in questo risiede la grandezza di Pasolini.
Avvicinarsi a un testo così carico di significato e di spunti affascinanti non è semplice. Portare in teatro un personaggio tanto idealizzato quanto scarsamente letto come Pasolini, lo è forse ancora di più. La drammaturgia di Sandro Lombardi, Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi – che ha curato anche la regia –, resta abbastanza fedele al testo originale, salvo qualche adattamento di cui si comprendono le ragioni sia tecniche sia artistiche. Quello che Pasolini riprende dalla tragedie greche non è, però, soltanto la struttura in stasimi ed episodi, ma innanzitutto la schiettezza scenica, che non è semplicità dello scritto né naturalezza del parlato, quanto piuttosto attenzione alla singola parola, alla precisione dell’espressione. È un linguaggio primitivo, che può apparire ridondante, talvolta ampolloso, specie quando è legato ai temi di cui si è accennato. «L’importante è che tutto si risolva in carne scenica», dice Sandro Lombardi in un’intervista alla Pergola in cui l’analisi dell’opera è interessante e puntuale. La carne scenica del Calderón rappresentato dal Teatro di Roma in collaborazione con la Fondazione Teatro della Toscana si muove, però, lentamente, appesantendo la pulizia del testo con una gestualità sovrabbondante. In un azzeccato contrasto con la tetra scenografia, la pomposità dei costumi e delle movenze descrive l’impalpabilità del sogno, tuttavia, nel corso delle due ore e un quarto di durata dello spettacolo, assuefà il pubblico e fa perdere di ritmo alla rappresentazione. Ciò che la potenza del testo non può che conservare, coadiuvata o minata che sia dalla resa scenica che le si cuce addosso, è la sgomenta inadeguatezza di Rosaura, e quindi del pensatore indipendente, di fronte alla dimensione in cui tutti siamo catapultati. «E se questo è un sogno, esso non serve ad altro, tuttavia, che a rendere più reale la realtà».