Frustrati, angosciati, depressi, ingabbiati in una vita di stenti, ossessionati dal lavoro (molto spesso fatto “a gratis”), dal profitto, socialmente isolati, avvelenati dalla paura (del diverso, del prossimo, dell’ignoto), sempre protesi verso un benessere fittizio a cui anelano ma che non riescono mai ad afferrare perché infelici e perennemente insoddisfatti: sono i “merdolani”, una bizzarra popolazione vissuta nel “Secolo di merda”. A raccontarci le loro vicissitudini è Sabina Guzzanti che, nello spettacolo “Come ne venimmo fuori”, da lei scritto e interpretato, andato in scena al Teatro Dehon di Bologna, indossa i panni di SabinaQ, una donna del futuro che, in un gioco di lontananza spaziale e temporale, riesce a raccontare, con il distacco di chi non è più coinvolto in certi meccanismi, la nostra società, le sue contraddizioni, le sue assurdità.
SabinaQ è stata scelta per tenere il “discorso delle celebrazioni” che ogni anno viene proclamato per raccontare la storia dei merdolani alle generazioni future con lo scopo di non dimenticare e non ripetere più gli stessi errori. E così, la Guzzanti nel suo lungo monologo, sempre in bilico tra il tragico e il comico, tra fatti storici agghiaccianti che hanno colpito la nostra società, di cui siamo stati vittime e artefici, ed esilaranti siparietti comici, racconta di questi strani esseri, vissuti tempo fa, che lavoravano tutto il giorno, spesso in ambienti angusti e soggetti a ricatti dei più potenti, che picchiavano le loro donne, insultavano gli immigrati, gli omosessuali e tutto ciò che fosse in qualche modo fuori dai loro ristretti schemi di vita.
Questi comportamenti ebbero il culmine, racconta la nostra eroina, con l’avvento del Neoliberismo: un’ideologia studiata a tavolino per logorare le persone, per renderle schiave pur credendo di essere libere, per consolidare il potere nelle mani di pochi ricchi e potenti e far sì che tutto il resto della popolazione vivesse in una sorta di cannibalismo perenne, pronti sempre a sbranare il prossimo appena se ne avesse l’occasione e, molto, spesso, per un briciolo di pane.
Per spiegare il neoliberismo, di cui tanto sentiamo parlare ma di cui, difficilmente capiamo il significato e le implicazioni nelle nostre vite, SabinaQ parte dalle origini, ossia da quando, nel XVII secolo, alcuni pensatori come John Locke, David Hume, Adam Smith teorizzarono la legge di mercato, stabilendo che quest’ultimo si regola da solo e non ha bisogno del controllo dello Stato, se non in minima parte. Ma questo modello ebbe ben presto una profonda crisi e i potenti del mondo, che su esso si erano appoggiati, furono costretti a inventare una nuova ideologia che incantasse le masse e le costringesse ad accettare pietose condizioni di vita. Fu così che nacque il Neoliberalismo, la nuova ideologia che fece capo al Secolo di merda: per venire fuori dalla perpetua crisi era necessario esaltare il libero mercato, provocando una riduzione sempre maggiore del peso dello stato e della stessa democrazia, tanto che, a un certo punto, al governo andavano persone che non erano mai state scelte dal popolo e, il diritto al voto fu ritenuto inutile. Un pieno successo per i detentori del Neoliberismo. Erano riusciti, negli anni, non solo a plasmare le idee politiche ma anche i pensieri, le emozioni e lo spirito.
Sabina Guzzanti espone un racconto denso di fatti storici, aneddoti, vicende terribili di cui siamo stati testimoni, diretti o indiretti. La scenografia è essenziale: due leggii e due teli bianchi sgualciti che proiettano l’ombra di questa donna alieno in procinto di proclamare il suo discorso. A fare il resto ci pensa Sabina Guzzanti, con la sua capacità di passare a un racconto tragico, dove le parole, accompagnate dalla musica, diventano un canto, piene di ritmo e di forza e inducono a ricordare, a riflettere ad assumersi anche le responsabilità, un po’ tutti, per quello che siamo diventati e per i compromessi che abbiamo accettato.
A questi momenti elegiaci, la poliedrica attrice, ha sapientemente accostato, con la sua abilità camaleontica, divertenti siparietti comici, corredati dalle sue famose imitazioni di alcuni personaggi chiave che, stando ai documenti pervenuti nel futuro, hanno fatto sì che quel periodo fosse denominato Secolo di merda: Berlusconi, Renzi, Mariangela Meloni, Emma Marcegaglia, la Maria nazionale che non ha bisogno nemmeno del cognome per essere riconosciuta, e tanti altri protagonisti di questo oscuro periodo della storia.
Anche alcune abitudini di quell’epoca sono sembrate ridicole al tempo in cui vive SabinaQ, una di queste è l’uso dei Social Network chiamati con nomi bizzarri come Facebook o Whatsapp, che aprivano il mondo delle connessioni virtuali e chiudevano le porte ai rapporti veri e alla possibilità di passare il proprio tempo ad esempio leggendo un libro, ascoltando buona musica ecc. Sì perché si deve sapere che all’epoca dei merdolani pensare era diventato molto opprimente, era un’attività che provocava troppa sofferenza e fecero di tutto per privarsi di qualsiasi strumento intellettuale. Molto meglio era esprimere opinioni, un collage di informazioni prese qua e là e poi assemblate, spesso a casaccio. Tutti potevano esprimere le loro opinioni attraverso il web e chi deteneva il potere, ne era ben contento perché riusciva a fomentarle a riverberarle attraverso giornali, televisioni, e programmi politici.
Sabina Guzzanti, nel suo monologo, tiene in scacco tutti gli spettatori, tra una risata ilare e una amara, ognuno dei presenti in sala sa di essere chiamato in causa e si sente imprigionato in una trappola dalla quale è veramente difficile uscire. Ma ecco che proprio sul finale si risponde alla domanda “Come ne venimmo fuori”, portando un anelito di speranza. SabinaQ racconta che fu la fortuna ad aiutare gli esseri umani a uscire dal Secolo di Merda. Racconta anche che essa non venne da sola, ma solo in seguito ad un atteggiamento diverso: solo quando gli uomini cominciarono ad apprezzare la propria vita, a viverla con audacia e com-passione trovarono la chiave per rendere migliori le loro esistenze. Un auspicio, un augurio, un monito.