di Stefano Massini
con Ottavia Piccolo
Musiche per arpa composte ed eseguite da Floraleda Sacchi
Regia Silvano Piccardi
Una produzione realizzata da Fioravante Cozzaglio, Fulvio Iannelli e Cristina Pichezzi per Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano
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Prodotto nella stagione 2007/2008 da La Contemporanea, “Donna non rieducabile” viene ripreso al Teatro Carcano come propria produzione per una serie di repliche.
Scritto da Stefano Massini, è l’adattamento in forma teatrale di brani autobiografici e articoli di Anna Politkovskaja.
La giornalista aveva uno stile di scrittura incisivo e pungente, usava le sue parole per descrivere le situazioni che viveva in modo semplice ma diretto. Così, più che a scritti, ci troviamo davanti a immagini, immagini delle quali Anna è stata testimone con un lavoro più simile a quello di un fotoreporter che di un cronista. Stefano Massini rimane fedele allo stile della giornalista: durante l’opera lo spettatore viene rapito dalle immagini che vengono portate alla sua mente dai monologhi di Ottavia Piccolo.
Tutto lo spettacolo sarà pervaso da una semplicità cruda e reale, catartica e dal forte impatto emotivo.
La scenografia stessa è anch’essa semplice, quasi scarna: una scrivania, un giornale, una sedia, niente più di ciò che serviva alla giornalista per lavorare. Il palco è buio, ma sul fondo, illuminata da una luce quasi irreale e onirica, suona l’arpa di Floraleda Sacchi, che accompagna le parole dell’attice. Non è del tutto corretto parlare di monologo: si tratta di un dialogo tra parole e musica. Quando le corde dell’arpa vengono pizzicate dalla musicista lo spettatore sente toccare le sue corde emozionali.
Ogni suono è perfettamente in dialogo con le parole, tanto che immergendoci nello spettacolo ci troviamo all’interno dei racconti stessi della giornalista, anche noi testimoni, dimenticandoci del “qui e ora”.
Ottavia Piccolo è vestita con dei semplici abiti bianchi dalla linea minimale, che sembrano proprio rappresentare la giornalista: pura, semplice, immacolata, senza sovrastrutture.
Sulla scena l’attrice è perfetta nel ruolo, da lei traspare la fierezza di un’anima forte e indomabile, come immaginiamo doveva essere Anna Politkovskaja.
Come spettatori ci troviamo a immergerci nel mondo della giornalista, che ci racconta dai drammi più tragici, come quello della scuola di Beslan, a quelli più quotidiani, come l’impossibilità di lavarsi o di dormire, o semplicemente scrivere un articolo, nelle zone di guerra cecene.
Le parole di Anna hanno molteplici effetti sullo spettatore, che viene sconvolto, a volte disgustato, rapito e inorridito dalla ferocia umana e dalle ingiustizie. Una cosa su tutte emerge con chiarezza: il ritratto di una donna coraggiosa, caparbia, dalla grande umanità.
La giornalista sapeva che sarebbe morta, prima o poi, uccisa dai suoi oppositori in quanto “donna non rieducabile”, uccisa a causa del suo lavoro che per lei era una missione: eppure continuerà fino alla fine.
Ciò che colpisce di più è la grande umanità di Anna Politkovskaja la grande sensibilità e compassione.
“Prendere una posizione è intelligente?”: scuotono lo spettatore queste parole, fanno riflettere tutti noi. Di fronte alle lapidi di tanti, troppi, bambini innocenti, uccisi senza motivo al loro primo giorno di scuola, che senso hanno le teorie e le prese di posizione dei colti intellettuali riguardo alla situazione tra Russia e Cecenia? Quante volte ci si è trovati a discutere, a cercare di trovare una soluzione, quando invece si sarebbe dovuto solo tacere di fronte a delle terribili tragedie umane.
Ed è questo che la Politkovskaja voleva: non pubblicare intelligenti opinioni e scrivere degli articoli piacevoli o belli, ma raccontare le tragedie, le ingiustizie e le crudeltà che lei ha vissuto in prima persona, affinchè tutti sapessero, perchè la conoscenza e la verità sono la chiave per la libertà.
A dieci anni dal suo omicidio, dalle cause mai ufficialmente chiarite, le sue parole continuano a vivere e a ispirare, anche grazie a questo spettacolo, all’interpretazione di Ottavia Piccolo, all’arpa di Floraleda Sacchi, alla regia di Silvano Piccardi e al lavoro di Stefano Massini.