Tratto dall’omonimo film del 1984 (ispirato a eventi accaduti in un piccolo centro rurale dell’Oklahoma e diretto da Herbert Roos, poi ripreso da un remake del 2011 e da successivi adattamenti musicali) connotato da molta musica e danza, Footloose è divenuto famoso grazie alla colonna sonora il cui brano più noto che dà il titolo alla pellicola ha raggiunto una fama planetaria.
Oggi è ripreso in versione musical al Teatro Nazionale CheBanca di Milano da una partnership costituita fra Stage Entertainment Italia e CheBanca.
Stage ha certamente contribuito con i suoi spettacoli grandiosi, frutto anche di importanti investimenti economici, a sviluppare il mercato nazionale del musical, ma in Italia non c’è una grande tradizione in tale settore e di conseguenza manca un pubblico di appassionati come in America per cui nell’ottica di un risparmio – oggi giustamente refrain quasi cosmico – ha realizzato una produzione di ottima qualità senza eccedere nelle spese.
Arduo compito, ma non impossibile, quindi, per Chiara Noschese, professionista sempre molto seria, impegnata e dal tratto semplice e spontaneo, che con la cura di una madre amorosa e attenta per i propri figli ha scelto – e supervisiona per perfezionarne la resa – un cast italiano di ottimo livello come ha riconosciuto in conferenza stampa Martin Michel, coreografo e regista che oltre all’edizione italiana ha diretto anche le versioni olandese e belga.
E i risultati ci sono: certo trattandosi di un ‘vino giovane’ e di buona potenzialità si può solo auspicare che un giusto invecchiamento ne affini i pregi mettendo in luce i contenuti che sono tutt’altro che banali o tediosi, ma raccontano una storia di consueta ‘disumanità’ che può verificarsi in ogni angolo del globo terracqueo aggravata dal fanatico moralismo di una società falsamente religiosa che in nome di una morale e di un bene comuni è pronta a lapidare alcuni suoi membri divenendo una pericolosa ed esaltata setta. Male comune e diffuso quando si crea una forte cesura tra bene e male anche al di là del rigore cristiano protestante e degli ambienti religiosi.
Ininfluenti quindi la fedeltà o meno alla storia originaria e i vari adattamenti rispondenti alla logica del tempo in cui nascono e al gusto e preparazione di chi li compie: resta la storia in sé che nella foga di difendere il diritto e la moralità del ballo, della musica rock e di alcune letture giudicate scandalose (ma non abbiamo avuto anche noi cristiano-cattolici fino al Concilio Vaticano II l’Indice dei libri proibiti?) presenta un primo tempo che, pur senza cadute di tono, forse non perderebbe molto se fosse un po’ scorciato, mentre offre una dinamicità straordinaria nel secondo con un andamento quasi cinematografico.
I problemi trattati sono quindi più profondi di quanto possa sembrare a una visione rapida e veloce: al di là della causa dolorosa e traumatica che ha indotto il pastore protestante e la piccola comunità di Bomont a proibire ai giovani di respirare la modernità vietando loro la possibilità di conoscere, crescere e imparare a scegliere esercitando così in maniera consapevole la libertà, restano i drammi, i blocchi psicologici di ciascuno e le reazioni di sfida verso genitori e società. Si evidenzia l’eterno conflitto generazionale, scontro che in ogni momento storico assume tinte e sfumature diverse, ma resta intatto nella sostanza laddove non si insegni la necessità di regole e sia inibito il formarsi di nuovi modelli che spesso finiscono con il coincidere con quelli del passato.
Ribellioni, sodalizi, amori e crescita reciproca accompagnati da musica e ballo – ab antiquo connaturato all’uomo – in un ambiente eterogeneo dove può capitare che Willard (veramente abile Giulio Benvenuti nel rendere simpatico e divertente il suo personaggio), più impacciato e bloccato di altri, divenga il più vivace, umano e divertente della compagnia. Un gruppo di pares non solo nella finzione teatrale, ma anche nella vita professionale: ciascuno con le proprie caratteristiche da scoprire e apprezzare senza un primo che domini e metta in ombra gli altri.
Allettanti musiche anni ’80 suonate in diretta da una valida orchestra guidata da Andrea Calandrini ed efficaci e piacevoli coreografie permettono di trascorrere due ore simpatiche uscendo trasportati da piedi stimolati dalla danza.
Andiamo dunque a curiosare in questo angolo di mondo per vedere se la tenacia del giovane Ren vincerà i pregiudizi permettendo di vivere una giovinezza più dinamica ed emozionante e se è vero -come crede – che il ballo vincit omnia per parafrasare un celebre detto.