di: Luigi Pirandello
adattamento e regia: Gabriele Lavia
con: Gabriele Lavia, Michele Demaria, Barbara Alesse
costumi: Elena Bianchini
musiche: Giordano Corapi
luci: Michelangelo Vitullo
scene: Alessandro Camera
La scenografia è stata realizzata interamente nei Laboratori del Teatro della Pergola
produzione Fondazione Teatro della Toscana
in coproduzione con Teatro Stabile di Genova
La durata dello spettacolo è di un’ora e venti, atto unico
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Come già aveva anticipato in occasione della conferenza stampa di presentazione della stagione teatrale 2016-2017, Gabriele Lavia porta avanti con “L’uomo dal fiore in bocca… e non solo” un suo personale lavoro sul teatro pirandelliano, iniziato con “Sei personaggi in cerca di autore” lo scorso anno, e che poi proseguirà in futuro con “I giganti della montagna”. Leitmotiv delle rappresentazioni è la tematica dell’incontro con la morte, dell’uomo che ne ricerca le tracce nel volto dell’altro e nella figura della donna, che nella trasfigurazione simbolica della poetica di Pirandello rappresenta, appunto, la “grande mietitrice”.
Nello specifico, in questo testo teatrale estrapolato dalla novella “La morte addosso”, ci troviamo di fronte ad uno spettacolo breve, ma molto difficile ed intriso di dettagli, luoghi comuni, metafore, simbologie e citazioni.
Il testo originario, così come l’adattamento di Lavia, è ricchissimo di pause, che comunicano più delle parole le emozioni e le reazioni dei personaggi: la progressiva meraviglia, l’ironia, il disorientamento sempre più intenso, alternando l’angoscia a discorsi che si pongono su un piano di tranquillante e banale normalità.
È un processo che si addentra sempre più vorticosamente nella riflessione monologante: il dialogo di superficie tra i due personaggi (sempre presenti sulla scena) gradualmente si spegnerà a favore di un dialogo interno del protagonista che parla con se stesso e per se stesso. La comunicazione a senso unico, rappresenta in questa mise en pièce la possibilità per l’uomo dal fiore in bocca di liberarsi, almeno per qualche istante, dall’incubo della morte imminente, nascondendo quel tormento interiore che la morte crea in lui, e che Lavia con la sua gestualità, con la sua espressività e con la profondità dello sguardo, ci restituisce in maniera perfetta. Il suo personaggio sfrutta le armi dell’ironia e dell’umorismo per razionalizzare la morte, mettendosi in antitesi al pacifico avventore che nella sua banale vita in linearità nasconde la meschinità e misoginia dell’uomo medio siciliano del suo tempo. Completa il cerchio dei personaggi la figura femminile (amata e odiata da Pirandello) della moglie dell’uomo dal fiore in bocca, che segue il marito ovunque, soffrendo per lui, per la sua condizione di “uomo condannato”: la donna, esprime una femminilità elegante ed allo stesso tempo rappresenta un’entità, una presenza quasi eterea che passa, osserva e scorre via, come fosse solo un’ombra, un’idea che ha assunto una qualche sorta di fisicità.
L’uomo non si può scindere da essa, dalla donna, come non si può scindere dalla morte.
Tutto nella rappresentazione rimanda a questo intreccio fondamentale: il quadro scenico bianco e nero, i continui cambi di luce, una stazione con dei treni su cui nessuno sale, una sala d’aspetto deserta, un orologio senza lancette, un male che non lascia scampo, ma dal nome dolcissimo, un flauto dal suono così soave che sembra quasi arrivare da un’altra dimensione. Inoltre, come afferma lo stesso Lavia “assistiamo ad una pioggia costante: una pioggia sporca che è l’accompagnamento di tutto lo spettacolo. I personaggi entrano ed escono di scena inzuppati, ma non c’è acqua: quello che arriva al pubblico dal palcoscenico è solo il rumore della pioggia, una pioggia dell’anima”.
Lo spettacolo, che andrà in scena al Niccolini fino al 23 ottobre, si sposterà poi al Teatro della Pergola di Firenze dal 29 ottobre al 4 novembre.