È in scena al Teatro Niccolini di Firenze, fino al 2 novembre, “L’uomo dal fiore in bocca“, un atto unico di Luigi Pirandello, esempio di dramma borghese nel quale convergono i temi dell’incomunicabilità e della relatività della realtà.
Tutta la scena si svolge nella sala d’attesa di una non precisata stazione ferroviaria siciliana, è estate, ma piove violentemente, gli attori sono costantemente zuppi in scena.
“Sulla scena si vive un tempo strano, un tempo invernale in piena estate…
Ci troviamo in una sala d’attesa, in un luogo dove si perdono i treni e dove mai nessuno riuscirà a partire. È la sala d’attesa della morte, in una stazione ferroviaria metafisica, simbolo, appunto della vita” – Gabriele Lavia
Gabriele Lavia porta in scena, con il Teatro Stabile di Genova, un uomo malato di tumore (il fiore in bocca) e prossimo alla morte; questa sua situazione lo spinge a indagare nel mistero della vita e a tentare di penetrarne l’essenza. Per chi, come lui, sa che la morte è vicina, tutti i particolari e le cose, insignificanti agli occhi altrui, assumono un valore e una collocazione diversa.
«Venga… le faccio vedere una cosa… Guardi, qua, sotto questo baffo… qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ha, un nome dolcissimo… più dolce d’una caramella: – Epitelioma, si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma… La morte, capisce? è passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: – “Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!”».
Con la consapevolezza della fine, della “morte addosso”, il protagonista filosofeggia, approfondisce tematiche quotidiane da un punto di vista universale e tormentato.
Si resta legati al territorio tramite i canti siciliani, bisbigliati o urlati in coro, si parla di Schopenhauer, (l’uomo è un animale metafisico, a differenza del bue o del somaro, ha coscienza della morte), si accenna con una piccola parentesi, alla tematica del metateatro pirandellinano:
“Chi lo capisce il teatro? – dice l’Uomo dal fiore in bocca – sono stato a vedere un dramma norvegese, non si capiva niente!“
L’altro personaggio capita nella sala d’attesa in seguito alla perdita del treno, è un uomo qualsiasi, che la monotonia e la banalità della vita quotidiana hanno reso scialbo, piatto e vuoto a tal punto che il dialogo tra lui e il protagonista finisce col diventare un monologo.
Il protagonista sprona l’Uomo Pacifico all’auto-analisi, lo provoca, lo istiga ad una critica alla sua piatta esistenza borghese.
Il fiore in bocca è una maledizione, ma è anche raggio luminoso, il protagonista riconosce la ristrettezza mentale che vige nella società, diviene un’avanguardista, discute di uguaglianza tra sessi; i desideri, i sogni, i comportamenti, non hanno differenza di genere – ricordiamo che l’opera fu rappresentata per la prima volta il 24 febbraio del1922.
Ma la saggezza, si sa, porta anche disperazione, e l’Uomo dal fiore in bocca alterna momenti di lucidità placida, ad altri di incontrollata follia e tormentato sconforto: “Posso attaccarmi alla Sua vita?“, implora in ginocchio all’Uomo Pacifico.
All’Uomo dal fiore in bocca non rimane che attendere la Morte, la sua sposa predestinata, e la attende alla stazione, assorbendo passivamente la vitalità e le esperienze dei viaggiatori in transito, si rigenera della loro energia.
La Morte è in scena, è un’angosciante figura in nero, che passa e ripassa dietro la vetrata della stazione, la vediamo affascinante, avvenente, in nero. Si ferma, osserva, indica l’Uomo dal fiore in bocca, procede.
Nell’angustia della scena, Pirandello riesce a strappare il sorriso al pubblico, e il suo umorismo grottesco regna anche in questa sua opera: “Tu sai, Uomo Pacifico, perché la morte è brutta? Perché ha le gambe secche“.
Il ritmo della recitazione è scandito dagli assordanti tuoni temporaleschi.
La scena si conclude con il passare della pioggia: Il cielo si apre con la gran fuga delle nuvole della notte.