Sulle note della canzone di Rino Gaetano “Ma il cielo è sempre più blu”, i profumi di una terra aspra e assolata evocati dalla nostalgia della giovane donna che rielabora le immagini della sua infanzia, odore di salsedine, di origano e finocchio selvatico, si mescolano all’afrore di una torta preparata sul tavolo di cucina con gli ingredienti estratti da una sporta e messa in forno.
Affiorano intanto i dolori, le passioni e la voglia di vita di una madre e della sua amatissima figlia, trascinando gli spettatori nella profondità della forza dell’amore di cui sono capaci le donne “che utilizzano perfino gli angoli del cuore”.
Il telo increspato del fondale si illumina di un mare di cobalto, quel mare che facendo prevalere la nostalgia sul dolore ha fatto tornare Sara nella sua terra per ritirare l’ultima lettera della madre scritta prima della sua tragica scomparsa, uccisa e bruciata in un bidone di petrolio per aver rinnegato un destino di omertà e sottomissione, sottraendo la figlia alle ataviche regole malavitose e proiettandola, invece, verso un futuro di libertà, con la forza trainante della sua risata “un’esplosione improvvisa che uccideva la paura e riempiva l’anima. Ed è l’amore la libertà assoluta, di andare o tornare e anche di lasciare quando restare significa tradire se stessi”.
Il breve ritorno nella terra in cui non si riconosce più, quella Calabria mai nominata esplicitamente, è un tuffo nei ricordi infantili, con la vecchia zia Carmela a fare da collante tra gli affetti familiari, rivelatasi invece una terra in cui “i boss non si ricordano i morti di cui l’hanno disseminata ma non dimenticano di accendere i ceri per chiedere la Grazia e vengono omaggiati anche dalla Vergine Maria in processione, al punto che forse a noi devono averci concesso un’edizione ridotta del catechismo”.
Il testo della giornalista Mirella Taranto si ispira alla tragica vicenda di Lea Garofalo e sua figlia Denise, basato sull’attento studio degli atti processuali. Rifiutatasi di portare la bambina al padre in carcere per non farle respirare l’aria dell’illegalità, Lea viene osteggiata dalla famiglia, costretta a fuggire e a diventare testimone di giustizia senza, tuttavia, che le sue dichiarazioni portino a istruire un processo. Sotto protezione e con una nuova identità, perennemente in fuga, si alimentano dell’amore reciproco, finché il marito con l’aiuto dei familiari realizza la sua vendetta di uomo d’onore. La ragazza, inseguendo la verità, riuscirà a farli condannare a cinque ergastoli e avere, finalmente, una tomba su cui “appoggiare il dolore, perché per il dolore non esistono solventi”.
Una drammaturgia tenera e struggente, resa aspra e graffiante nei passaggi dialettali che perforano la crosta di accondiscendenza e rassegnazione cui la donna è relegata per obbligo di appartenenza.
La creatività registica di Paolo Triestino rende circolare la rappresentazione, incardinata nel tempo di preparazione e cottura della torta che Sara sforna proprio quando nel finale apparecchia e ne mette in tavola due fette accingendosi a leggere la lettera (voce di Ida Scofano) nella quale la madre le descrive la ricetta, esortandola a sognare il futuro accompagnata dalla sua voce, ogni volta che guarderà il mare.
Il vigore interpretativo dell’attrice palermitana Federica Carruba Toscano intensa e toccante, rende tangibile una vicenda umana che scuote le corde del cuore, come ha smosso l’indignazione della pubblica opinione durante gli anni del processo.
Un plauso all’autrice per un testo serrato, pregno di parole poetiche ed evocative, nostalgiche e raspose, al regista che lo ha reso come una narrazione compiuta che si ricongiunge al suo incipit e all’interprete per la capacità di attraversare i vari registri narrativi con assoluta identificazione a un universo di emozioni.
Scene e costumi di Lucrezia Farinelli illuminati dalle luci di Gabriele Boccacci.