di Eduardo De Filippo
con (in ordine di apparizione) Gianfelice Imparato, Carolina Rosi, Massimo De Matteo, Paola Fulciniti, Federica Altamura, Andrea Cioffi, Nicola Di Pinto Viola Forestiero, Giovanni Allocca, Gianni Cannavacciuolo, Carmen Annibale
regia Marco Tullio Giordana
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Francesca Livia Sartori
produzione La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo
si ringrazia per il sostegno il Comune di Foggia
ritratti Fabio Lovino
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Questi fantasmi! Sono ovunque. Per le strade, certo, ma soprattutto nelle case, in quelle vecchie e disabitate da tempo. Spesso si aggirano vestiti di tutto punto, addirittura generose in fatto di denaro. Peccato – davvero, peccato – che qualche volta i fantasmi si insinuino nei pesanti silenzi tra marito e moglie, nell’incomprensione dovuta all’abitudine. Si intromettono, con il loro fascino da uomini di mondo, e finiscono tra le lenzuola delle nostre donne, sotto i loro abiti – sono fantasmi, del resto – lasciando come ricompensa importanti somme di denaro. Perché la gratitudine, si sa, ha molte forme. Pasquale Lojacono è un uomo come tanti, forse come tutti, nel senso più tragico del termine. Il brav’uomo sceglie di abitare una casa infestata, stando alla leggenda, da una coltre di fantasmi. Vi potrà rimanere, a titolo gratuito, per cinque lunghi anni, con il solo obiettivo di dimostrare quanto accogliente sia. Sarà sufficiente affacciarsi ai numerosi balconi della casa, ogni mattina ed ogni sera, e recitare il peana della vittoria sulla superstizione, che recita: “Qui, tutto bene”. Accompagnandosi, magari, con un bel canto. Nella grande casa, però, dovrà convivere, a sua insaputa, con l’amante della moglie, il bell’Alfredo, che entra ed esce dall’appartamento con comica costanza pur di approfittare della grazie di Maria. Pasquale lo nota subito, i due si fissano sin dalle prime battute, ma il bravo Lojacono si convince subito che quella presenza è spiritica: Alfredo è un fantasma. Un fantasma particolare, che porta in casa generi di lusso e somme, grandi somme, di denaro. Pasquale è così, ingenuo per convenienza e per timore: i danari che trova in un logoro cappotto sono una benevola elargizione degli spiriti che lo hanno preso a benvolere. Soffre, intanto, Maria, tra una concessione all’amante e un pianto disperato per la cecità del marito – chi può vedere, del resto, un fantasma? – che crede alle presenze invece che alle evidenze. Il dramma si conclude con Pasquale che confessa la sua disperazione, prima alla moglie ormai distante e poi, incredibilmente, al fantasma: perché lo ha abbandonato, dopo avergli concesso così tanto? I fantasmi tornano sotto altre forme, suggerisce il professore, invisibile e astuto dirimpettaio. “Speriamo!”, risponde Lojacono, che potrà però consolarsi con un ultimo dono, una generosa somma di denaro che, in realtà, sarebbe servita al fantasma Alfredo per scappare con Maria.
La compagnia di Teatro di Luca De Filippo fa il suo gioco, fatta di astuzie da palcoscenico e di balbettii, voluti o no, magistrali. Certo, manca il genio – emotivo e carismatico – di Luca, ma ad ogni cosa dobbiamo fare l’abitudine, si scrive. La commedia, dal canto suo, non è invecchiata affatto, in quell’aurea di eternità che accompagna il lavoro dei geni, da quando è nato il mondo. Dispiace, certo, per la scena dell’apparizione in chiusura di secondo atto: senza nulla togliere alla bravura del Maestro – quale importante e meritato appellativo, in un mondo in cui chiunque osa fregiarsi di un simile titolo – la scena risulta goffa, prova a strappare un sorriso, invano, al punto da sembrare una farsa.
Fortuna vuole che dopo, subito dopo, due attori scendano dal palco per cantare una serenata a Maria. La voce spezza l’imbarazzo, il prodigio di quel canto ripaga di ogni cosa, sebbene la bella non si affacci.
Ah, questi fantasmi! Così simili a noi. Sono ovunque, vero Pasquale Lojacono?