Cosa significa essere diversi? Diversi da chi e rispetto a quali canoni? Come vivono i bambini il concetto di diversità e quando si sentono “in difetto” rispetto a come “dovrebbero essere”? A queste e tante altre domande sull identità lo spettacolo “I brutti anatroccoli”, liberamente ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen, andato in scena al Teatro Testoni Ragazzi di Bologna, prova a dare delle risposte, e lo fa mettendo in scena una perfetta miscela tra ironia e spunti per riflettere e, anche perché no, commuoversi.
Questo spettacolo è stato realizzato dalla Compagnia Stilema che, nata nel 1983 cerca di attingere a temi cogenti del vivere quotidiano dell’infanzia. In “I brutti anatroccoli”, infatti, si tocca un tema molto sensibile, che delle volte porta i bambini, anche i più piccoli, a isolarsi e soffrire in silenzio, perché si sentono “sbagliati”. Lo spettacolo è stato scritto e interpretato da Silvano Antonelli che recita l’intero copione con il supporto di alcuni oggetti, strumenti musicali, papere con gli occhiali, con le rotelle o di diverso colore, divertenti e poetiche suggestioni, lo spettacolo cerca di veicolare il messaggio che tutti possono cercare di rendere la propria debolezza una forza. Da qualsiasi punto si parta e in qualsiasi condizione ci si senta.
E così, in modo estremamente semplice ed efficace, Antonelli mette in scena la sua idea di teatro, che come afferma all’inizio dello spettacolo, “sono dei pensieri che si travestono, e se vuoi raccontare la paura la puoi vestire da lupo, se vuoi raccontare il coraggio da leone, ecc.”
La diversità è stata trasformata in anatroccoli, come nella fiaba di Andersen, che qui viene usata come archetipo in grado di affrontare un tema universale, tanti anatroccoli, ognuno con un piccolo difetto, ognuno con una imperfezione che li allontana dai modelli di “perfezione”, “efficienza” e “bellezza” imposti dalla società e, al cospetto dei quali, troppo spesso ci si può sentire a disagio. Basta essere un po’ timidi, introversi, un po’ più sensibili, portare un paio di occhiali, essere più lenti nel fare le cose, dover stare su una sedia a rotelle, avere il colore della pelle diverso. Basta una piccola sfumatura, alcune volte, per essere additati, per trovarsi isolati e per imprigionati nelle proprie emozioni, come se si avvertisse un peso, sullo stomaco, che non va mai via.
Ma il tempo scorre: dopo la primavera arriva l’estate e poi l’autunno e poi l’inverno e poi di nuovo il ciclo continua. Il tempo passa e proprio mentre sembra che non stia succedendo niente si cresce e si diventa grandi. Ed è importante ripartire proprio da quella mancanza e trasformarla in coraggio, desiderio di esprimere la propria unicità come qualcosa di bello, di speciale e irripetibile.
Lo spettacolo nasce da una commistione tra laboratori teatrali con ragazzi e bambini, nei quali si è giocato intorno ai temi di “normalità” e di “diversità”, e racconti di ex bambini, ormai diventati grandi, che sono stati “particolari” e hanno raccontato a Silvio Antonelli come hanno vissuto, da piccoli, la loro condizione di “brutti anatroccoli” e come e dove hanno trovato la forza per reagire: nel finale, viene proiettato un video molto commovente, nel quale tutti questi ragazzi fanno vedere il loro, peculiare, modo di volare.
Ogni bambino, ogni persona è speciale, proprio perché unica e tutti, ma proprio tutti, possono cercare di rendere la propria debolezza una forza: basta avere coraggio, basta amarsi e accettarsi, basta alzare gli occhi per guardare l’immenso cielo che ci circonda, quel cielo in cui tutti siamo chiamati ad aprire le braccia, perché ognuno di noi può provare a volare.